Chiusi gli ombrelloni e ripiegati sdraio e lettini, il Governo Meloni si è ritrovato a Palazzo Chigi per riaprire i fascicoli interni più delicati, fra i quali, insieme al premierato e all’autonomia differenziata, quello sulla giustizia. Su questo fronte, ci eravamo lasciati il 9 agosto, con l’apposizione della firma del Presidente della Repubblica alla legge sulla prima trance di riforme targate Nordio, che ha cancellato il reato di abuso d’ufficio e riformulato quello del traffico d’influenze. Legge i cui effetti non tardano a palesarsi: tanto per fare due esempi, la riformulazione del reato di traffico d’influenze tornerà particolarmente utile a Palamara, che potrebbe chiedere l’annullamento della condanna a un anno e quattro mesi e altrettanto potrebbe fare Alemanno, condannato a 22 mesi nel processo mafia capitale.
In quegli stessi giorni di inizio agosto, era particolarmente salita l’irritazione del Colle per la richiesta di un colloquio da parte del ministro della Giustizia sull’affollamento delle carceri, vera emergenza e principale nodo del ministro, insieme al tema delle nuove modifiche al sistema penale. Alla luce del caso Toti, la Lega è infatti pronta a puntare i piedi per eliminare quella parte della legge Severino che prevede la sospensione dei governatori e sindaci già alla condanna in primo grado. L’idea, condivisa anche dal Pd, è di far scattare la sanzione della sospensione anche per gli amministratori locali solo in caso di sentenza definitiva. Ma non tutto il Governo sembra pienamente allineato.
Il vero nodo, si diceva, è tuttavia quello delle carceri, tema che nella sua drammaticità rischia di essere cavalcato per fare da sponda al prossimo provvedimento in materia di giustizia allo studio del ministro, che sarà rivolto a modificare la custodia cautelare in carcere.
Il Governo è sicuro che tra un paio di mesi si cominceranno a vedere gli effetti del decreto carceri, e le condizioni di vita dei detenuti miglioreranno. Secondo la pressoché unanimità degli addetti ai lavori, invece, il decreto non cambierà nulla poiché le misure previste non riusciranno a contrastare il fenomeno del sovraffollamento e, di fatto, non miglioreranno le condizioni di vita dei detenuti. Basti pensare che in merito alla possibilità dei domiciliari per chi ha un residuo di pena di un anno, gran parte di questi soggetti avrebbero già dovuto poter beneficiare di questa misura in vigore da tempo. L’unica misura che potrebbe avere una certa efficacia è quella relativa alla possibilità di esecuzione della pena in ambienti diversi dal carcere, come le comunità per tossicodipendenti, ma sta ai magistrati decidere se mandarvi i detenuti o meno e pertanto essa non può essere ritenuta una misura strutturale in gradi di offrire riscontri oggettivi.
Occorre allora lavorare su altre misure. Ed ecco che una parte della maggioranza, insieme al Guardasigilli, sarebbe favorevole ad eliminare il pericolo di reiterazione del reato fra i requisiti per cui si può ricorrere alla carcerazione preventiva. Una vera rivoluzione che farebbe cadere più dei due terzi delle misure cautelari in corso. Il principio di fondo, per la verità non senza fondate ragioni giuridiche, risiede nella considerazione che il concetto di “rischio di reiterazione del reato” è troppo vago ed elastico. D’altronde, in Parlamento giacciono ben 11 proposte di legge sul tema. La più ragionevole, prevede, sul modello tedesco, che dopo 60 giorni dall’applicazione della misura cautelare, tranne quando si sia in presenza di reati gravi come mafia e terrorismo, il giudice debba rivalutare il rischio di reiterazione e se non emergono ulteriori esigenze cautelari, l’indagato debba tornare in libertà. Il tema è quanto mai divisivo e non sarà facile per il ministro fare una sintesi da presentare al Governo prima e al Parlamento poi.
Resta il fatto che il sistema penitenziario italiano è una polveriera pronta a esplodere e una vera soluzione non sembra di facile individuazione. Certo, anche in Francia si segnala un picco di suicidi e in Gran Bretagna ci sono forti proteste. Il dato di fatto ineludibile è che in carcere ci sono tante, troppe persone in condizioni contrarie a ogni dignità e per di più si continua ad usare il carcere come unica soluzione ai problemi della società, come dimostrato dal fatto che anche gli istituti per minori, cosa senza precedenti nella storia, sono al collasso come conseguenza delle nuove norme introdotte dal Governo con il cosiddetto decreto Caivano.
Pochi ricordano che 10 anni fa l’Italia subì una condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per la non umanità delle condizioni detentive. Da allora, al di là di aver garantito lo spazio minimo di 3 mq per ciascun detenuto, non sono stati fatti grandi progressi e anzi, negli ultimi tempi si sono fatti passi indietro. Basti pensate che una disposizione amministrativa aveva decretato che le porte delle celle dovessero rimanere aperte per almeno otto ore al giorno, cosicché le persone potessero venire impegnate in significative attività diurne e tornare in stanza per il solo pernottamento; poi si è tornati indietro sulla spinta di alcuni sindacati autonomi di polizia penitenziaria conviti che le disposizioni adottate nel 2013 portassero a un carcere fuori controllo. Inoltre, con l’esplosione della pandemia e la chiusura dei colloqui con le famiglie, si era estesa la possibilità di contatti telefonici fino a una telefonata al giorno; prassi restate in vigore per un po’ anche quando le visite in presenza erano ormai riprese; ma anche su questo si è deciso di tornare indietro, ovvero a una telefonata a settimana di soli dieci minuti.
Altro aspetto poco trattato è che il regolamento penitenziario risale a ben 24 anni fa e pertanto una significativa revisione sarebbe una prima vera azione concreta da realizzare, fra l’altro in tempi brevi e con potenziali grandi benefici nella gestione dei detenuti.
Qualcosa occorre fare, si diceva. Esclusa allo stato l’ipotesi amnistia e nella consapevolezza che l’idea di procedere a un intervento sulla custodia cautelare richiederò tempo, nella consapevolezza che Lega e Fratelli d’Italia hanno sensibilità diverse, al ministero si sta valutando il modo di far tornare nel proprio Paese i detenuti stranieri, misura che riguarderebbe dai 15 ai 20mila detenuti. Della cosa, per la verità, si parla da anni e soprattutto non si comprende per quale ragione tale possibilità non sia stata fatta oggetto di trattazione nel provvedimento appena varato dal Governo. Anche un’altra misura ventilata dallo stesso ministro, ovvero quella delle strutture esterne per chi ha già diritto ai domiciliari ma non dispone di una casa, non si comprende perché non sia stata oggetto dell’emanato decreto.
Secondo Nordio, dei 16mila detenuti in custodia cautelare o in esecuzione della pena in carcere ce ne sono migliaia che non dovrebbero essere lì in quanto pur avendo i requisiti per poter andare agli arresti domiciliari, non hanno un posto dove andare. Di certo, i detenuti con fine pena non superiore a un anno sono circa 8.000. La stragrande maggioranza sarebbe composta da stranieri, arrivati clandestinamente. Tuttavia, come lo stesso ministro ammette, non sarebbe possibile mandarli fuori dall’oggi al domani.
Il problema resta aperto e il tempo non pare abbondare. La percezione è che sia forte il percolo di spaccare la maggioranza: un intervento legislativo immediato come quello di trasformare in arresti domiciliari, in caso di reati di non grave allarme sociale (e fra questi c’era chi voleva includere anche la corruzione) gli ultimi due anni di pena e le custodie cautelari in carcere, apertamente auspicato da Forza Italia, trova il muro in Fratelli d’Italia. Il governo sembra proprio essersi messo in un vicolo cieco dal quale ha difficoltà ad uscire. Tuttavia, l’unica vera certezza è che l’art. 27 della Costituzione italiana dispone che le pene devono rispondere a due requisiti: non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Insomma, per quanto il problema sia oggettivamente complesso e sconti inerzie ataviche, non è più tempo per veti ideologici e proposte inconsistenti nell’immediato.
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