È stato pubblicato l’atteso decreto ministeriale per la definizione delle agevolazioni a sostegno dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili di una comunità energetica. Costituiti sotto forma giuridica semplificata questi soggetti sono in qualche modo un’evoluzione della più diffusa tipologia di Autoconsumo collettivo in cui in genere diversi utenti (contatori) che risiedono nello stesso edificio condividono un unico impianto di produzione. In una CER (Comunità energetica rinnovabile), ogni soggetto che compone la comunità ha il proprio impianto e lo mette in “condivisione” virtuale a distanza utilizzando le reti di distribuzione con altri soggetti che possono possedere a loro volta un loro impianto o non averne alcuno di proprietà. Il vincolo tecnico è che gli impianti di produzione e gli utilizzatori siano a valle della medesima cabina primaria.



Le comunità ambiscono a conciliare il modello economico di generazione partecipativa di energia rinnovabile con un taglio sociale teso a trasferire una quota parte degli incentivi alla produzione ai cittadini. In questi mesi, la democratizzazione della figura del prosumer (consumatore e produttore) è stata amplificata dai vantaggi economici: tariffa incentivanti alla quale si aggiunge il corrispettivo per l’energia auto-consumata e, nel caso di comuni con popolazione inferiore ai 5mila abitanti, un contributo a fondo perduto per 40% del valore dell’impianto (dimezzando allora la tariffa incentivante) hanno riscosso un vasto successo. Almeno negli annunci. Perché a parte i progetti pubblicizzati, quelli realizzati a oggi si contano 25 tra comunità ed esperienze di autoconsumo, in prevalenza con impianti fotovoltaici.



Il Ministro Picchetto è fiducioso di raggiungere l’obiettivo di 7GW di potenza aggiuntiva con 20mila CER entro il 31 marzo 2027, scadenza del regime degli incentivi. I giornali titolano “parte la corsa agli incentivi”. Ma davvero si riscontra tutta questa impazienza tra i quattro soggetti titolati ad accedere alla composizione delle CER – ente pubblico, PMI, cittadino, enti del terzo settore (associazione, istituti religiosi, ecc.)?

Fabio Massimo Moreschini Presidente dell’associazione ACCENDI riconduce il discorso alla concretezza, facendo presente le oggettive difficoltà organizzative a implementare una rete di impianti su una materia complessa come l’energia di cui il cittadino non ha particolare consapevolezza e nutre anche non poche diffidenze. “Un primo errore di comunicazione è accomunare le CER con un condominio. Abbiamo tutti a mente la litigiosità dei condomini. È disincentivante già solo pensare di mettersi con altre 10, 100, 1000 sconosciuti per produrre, ripartirsi i consumi, dividersi gli incentivi. Meglio una governance assimilabile a una joint venture in cui si definiscono benefici comuni e obblighi limitati”. L’associazione ACCENDI, nata per promuovere la transizione energetica in centro Italia ha compiuto una minuziosa indagine sul campo per giungere alla definizione di un modello tecnico economico per l’implementazione di una CER che mette al centro le PMI.



È la piccola media impresa la più adatta a fare da soggetto proponente. Rappresenta il catalizzatore dei benefici che, nello specifico delle imprese, travalicano il mero guadagno economico, di ritorno d’immagine, e si traducono anche in un reale vantaggio strategico. Partecipando a una CER, l’impresa ottiene de facto una certificazione della performance di sostenibilità ambientale e sociale dell’organizzazione rispetto alle proprie operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate. “Questo ha un impatto diretto, per esempio, nell’agevolare linee di credito. In ossequio ai parametri della Tassonomia Ue, sono riservate dagli istituti finanziari ad aziende che dimostrano di contribuire alla sostenibilità a livello locale, regionale o internazionale”. Una caratterizzazione che gioca a favore anche nella catena del valore dove, per policy aziendale, i grandi gruppi industriali si rivolgono a fornitori con parametri ambientali coerenti agli obiettivi di sviluppo sostenibile dichiarati dal marchio.

Per chiarire Moreschi fa l’esempio di una realtà provinciale in cui una PMI decide di installare dei pannelli fotovoltaici sui tetti dei suoi capannoni. Utilizzando l’intera superficie disponibile andrebbe a generare una produzione eccedente del 40% il suo fabbisogno di energia in loco. Si costituisce allora una CER coinvolgendo l’area abitativa circostante la zona industriale nella quale gravita anche buona parte della sua forza lavoro. Si crea così una simbolica riconnessione tra l’area produttiva e la parte residenziale che assorbe il sovrappiù. Inoltre, l’erogazione di un contributo economico sul consumo di energia elettrica per le famiglie dei dipendenti è riconducibile a welfare aziendale. “Si configura allora un modello di CER al servizio del territorio”, spiega il Presidente dell’associazione ACCENDI che al suo interno dispone di tutte le risorse e competenze per realizzare chiavi in mano una CER: a partire dall’elaborazione, progettazione e costituzione, fino all’organizzazione e gestione, passando per la fornitura, l’installazione dei pannelli, manutenzione, assicurazione e l’affiancamento ai bandi.

È ancora difficile scommettere se nel prossimo triennio lo sviluppo delle CER porterà un’accelerazione nella disseminazione di generazione elettrica da rinnovabili in modalità diffusa e partecipata. Di sicuro si configura come un nuovo Superbonus energetico il cui costo di 3,5 miliardi per garantire una tariffa elettrica vantaggiosa per 20 anni sarà ripartito sulle bollette dei consumatori. Mentre i 2,2 miliardi di fondi per i finanziamenti in conto capitale afferiscono al Pnrr e, quindi, pesano sui contribuenti.

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