Con qualche giorno di ritardo rispetto agli annunci fatti dal Governo, è stato finalmente varato il decreto che contiene le misure rivolte a sostenere le attività economiche, l’occupazione e i redditi delle famiglie gravemente colpite dalle ricadute dell’emergenza sanitaria sulle attività produttive. Un ritardo comprensibile data la mole dei provvedimenti, che spazia dagli interventi rivolti a potenziare le strutture e il personale del sistema sanitario a quelli rivolti ad assicurare a condizioni facilitate le risorse finanziarie alle imprese per far fronte alla caduta della produzione e dell’erogazione dei servizi e per sostenere a vario titolo le diverse categorie dei lavoratori coinvolti. Un complesso di misure estremamente articolato, e non sempre di facile comprensione, che mobilita un importo di 25 miliardi di risorse pubbliche.
Per quanto attiene lo specifico dei lavoratori dipendenti e di quelli autonomi, le misure più consistenti, circa 10 miliardi di euro, vengono concentrate sugli interventi straordinari di sostegno al reddito erogati dall’Inps, e articolate in tre dispositivi:
– il prolungamento di 9 settimane dei massimali disponibili per gli interventi di cassa integrazione ordinaria, per far fronte alle conseguenze delle sospensioni della produzione, per le aziende e i settori già coperti dalla normativa vigente;
– l’introduzione della cassa integrazione in deroga alle norme vigenti, per un analogo periodo di 9 settimane, per tutte le aziende e i settori, indipendentemente dal numero dei dipendenti, che non rientrano nella fattispecie precedente;
– un intervento una tantum per le diverse tipologie di lavoratori autonomi, e professionisti, nonché collaboratori, parasubordinati ed ex lavoratori stagionali.
Un insieme di misure che, a detta della Ministro del lavoro Catalfo dovrebbe assicurare i sostegni a circa 14 milioni di lavoratori. In buona sostanza rimangono esclusi, per la loro specificità, solo i rapporti di lavoro domestico per i quali viene annunciata una misura alternativa rivolta a risarcire economicamente gli effetti di un licenziamento, probabilmente da individuare nell’ambito dell’attuazione del fondo istituito dal decreto dedicato al reddito di ultima istanza per i lavoratori con bassi redditi che rimangono esclusi dalle misure di sostegno al reddito.
I primi due interventi rivolti alla specificità dei lavoratori dipendenti ricalcano le misure adottate negli anni della crisi economica 2009-2014, e che hanno consentito di gestire con una certa efficacia la continuità dei rapporti di lavoro e l’erogazione delle risorse di sostegno al reddito, con il coinvolgimento delle Regioni per verificare l’attuazione della cassa integrazione in deroga rivolta ai settori scoperti e alle piccolissime aziende. Un precedente che, almeno sulla carta, rende possibile una rapida attuazione dei dispositivi da parte dell’Inps, come già annunciato dallo stesso istituto.
Gli interventi sul sostegno al reddito dei lavoratori dipendenti vengono accompagnati da una norma che prevede la sospensione, con effetto retroattivo dal 23 febbraio, della possibilità di licenziare i lavoratori per motivi economici. Un’innovazione, coerente con la finalità degli interventi, ma per molti aspetti di dubbia costituzionalità, motivata congiunturalmente dalla straordinarietà del contesto, ma difficilmente prorogabile anche nel caso di un proseguo della situazione emergenziale.
Molto più complessa si presenta l’inedita introduzione dei sostegni al reddito una tantum per la variegata fattispecie dei 5 milioni di lavoratori autonomi, delle partite Iva, dei professionisti e dei collaboratori. E per lo specifico dei lavoratori stagionali, in quanto lavoratori lavoratori che vanno stimati sulla base dei precedenti impegni lavorativi svolti dagli stessi.
La scelta operata dal Governo è stata quella di semplificare al massimo l’importo da erogare, l’una tantum di 600 euro pro capite, a prescindere dai redditi dichiarati. Ma le difficoltà sorgeranno soprattutto nella fase di selezione dei requisiti dei beneficiari, e per prevenire i probabili abusi. Le reazioni delle categorie interessate e degli ordini professionali, soprattutto per l’esigua entità dei sostegni annunciati, fanno presagire un percorso parlamentare destinato a introdurre significative innovazioni sul testo originale, tenendo conto che questo intervento si inserisce in altri provvedimenti rivolti a attenuare gli obblighi fiscali e contributivi per i prossimi mesi.
Tuttavia l’esperimento rivolto ai lavoratori autonomi, da tempo all’attenzione del legislatore, potrà aiutare a comprendere meglio la messa a punto di eventuali soluzioni strutturali per i sostegni al reddito di queste categorie.
Il decreto introduce inoltre due novità in favore dei lavoratori dipendenti che continuano a svolgere la loro attività nelle attuali condizioni di emergenza. Una prima, estesa anche ai lavoratori autonomi, rivolta a venire incontro alle esigenze di assicurare la cura dei figli, soprattutto nella condizione del blocco delle attività scolastiche, da dedicare alle famiglie con entrambi i genitori vincolati da un rapporto di lavoro e che si sostanzia nella possibilità di godere di un congedo parentale straordinario di 15 giorni da parte uno dei con una remunerazione pari al 50% del salario o del reddito percepito. Ovvero, in alternativa, di usufruire di un buono di 600 euro (1.000 euro per i lavoratori del settore sanitario) per il pagamento di babysitter.
Una seconda misura viene finalizzata a riconoscere un’indennità mensile una tantum di 100 euro, fiscalmente esente, da erogare proporzionalmente alle giornate lavorate nel corso del mese di marzo.
Il complesso delle misure adottate merita alcune considerazione di fondo. Esse sono certamente condivisibili per la doppia finalità di far fronte a degli eventi imprevedibili, e di sostenere il reddito e la domanda di prodotti e servizi. Nel breve periodo la probabile proroga dei dispositivi di blocco delle attività produttive e di erogazione dei servizi indurrà il legislatore a implementare le misure adottate mantenendone le caratteristiche principali. Ma, come avevamo avuto modo di evidenziare in un precedente articolo, sono misure difficilmente sostenibili nel tempo, e non solo per l’onerosità degli impegni finanziari da mobilitare.
La crisi è destinata a selezionare gli operatori economici, a innovare prodotti processi e le scelte di mercato delle imprese, a riposizionare i rapporti con i fornitori e i clienti. Accompagnare queste evoluzioni con scelte rivolte a conservare l’esistente rischia di imprimere un’ulteriore deriva assistenziale nell’uso delle risorse di cui, francamente, il Paese non ha bisogno.
Sul piano macroeconomico sarà necessario mobilitare, soprattutto con misure coordinate in ambito europeo e internazionale, una mole di risorse senza precedenti per sostenere la fuoriuscita rapida da una recessione ormai inevitabile. Ma, soprattutto per il nostro Paese, questo non basterà. Perché è manifesta un’incapacità cronica di utilizzare a pieno le risorse finanziarie e umane, ampiamente evidente nel drastico ridimensionamento degli investimenti pubblici e privati e nel basso tasso di occupazione sulla popolazione in età di lavoro, che non ha paragoni nel contesto dei Paesi sviluppati. E che non ci potremo più permettere. La crisi è l’occasione, forse l’ultima, di ripensare i nostri comportamenti, le priorità e la stessa agenda politica.
Consentitemi una postilla finale. Il presidente del Consiglio, continuando l’infelice consuetudine di accompagnare i provvedimenti del Governo con titoli rivolti ad attribuire agli stessi effetti miracolistici, ha pensato di definire il decreto in questione con il titolo, francamente inappropriato, di “Cura Italia”. Il coronavirus, tra le altre cose, ha messo in evidenza la fragilità delle nostre politiche. E gli effetti, in questo momento, li stanno subendo le persone colpite, molte delle quali faticano a essere curate con esiti che in molti casi sono letali. È così difficile da comprendere?