Ieri sera, per un primo esame, è arrivato in Consiglio dei ministri l’improvvisa proposta del ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, di riorientare a favore della famiglia un consistente (ipotetico) residuo di fondi non utilizzati, già allocati per l’avvio del reddito di cittadinanza, utilizzando la più che abusata formula del decreto legislativo del Governo (misura che sarebbe da attuare solo per “gravi urgenze”). Euro più euro meno si parlava di più di un miliardo, che potrebbe persino dare origine a un non irrilevante “Fondo permanente per la famiglia”: finalmente una cifra consistente, verrebbe da dire… E in parallelo il ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, ha avanzato alcune proposte più specifiche, di detrazioni/defiscalizzazioni varie.



Vista così, dall’esterno, l’improvvisa attenzione sulle politiche familiari non può che apparire una buona notizia; finalmente! Ma a uno sguardo appena più attento i problemi sono molti, e qualche sospetto non può non emergere.

Il primo indizio, certo non marginale, è una sorta di “bocciatura preventiva” della proposta da parte della Ragioneria dello Stato, con alcune obiezioni certamente pertinenti: ad esempio, non è che si possano così facilmente spostare soldi da un capitolo all’altro, senza qualche ragionamento più serio e rigoroso.



Inoltre è impossibile sapere che davvero a fine anno ci sarà un avanzo, e di quale entità. Quindi ipotizzare interventi consistenti, impegnandosi da subito, potrebbe poi essere cancellato dall’assenza delle risorse ipotizzate.

Terzo: perché si mette in moto un ministero che non ha titolarità sulla famiglia, senza che questa nuova titolarità sia stata collegialmente condivisa almeno dal Consiglio dei ministri? Insomma, più una “sparata”, un annuncio ad effetto, che un vero impegno progettuale.

Inoltre la prospettiva rimane quella dell’annualità, quindi congiunturale, di breve periodo, senza prefigurare una strategia e misure di lungo periodo. Forse sarebbe stato più realistico un annuncio meno ambizioso, di “aggiustamento interno” nell’utilizzo del reddito di cittadinanza, di cui si era già denunciata una certa “scarsa sensibilità” ai carichi familiari e alle famiglie con figli. Così si sarebbe rimasti nella titolarità del ministero, e si sarebbe migliorato un provvedimento già operante.



Per quel che si vede all’orizzonte il decreto famiglia appare più figlio della campagna elettorale che di una chiara convinzione della centralità della famiglia e delle sue esigenze. Perché oggi le famiglie chiedono impegni e scelte di lungo periodo, e sono sempre più sfibrate – e disilluse – da bonus, risarcimenti episodici, piccoli interventi eterogenei che non riescono a durare nemmeno il tempo di una legislatura.

Proviamo per una volta a rovesciare la prospettiva, partendo dai progetti di vita delle famiglie, e non dalle priorità della politica. Allora diventerebbe evidente che una coppia di giovani che vuole mettere al mondo un figlio fa una scommessa su di sé e sul futuro di sé e della società, sapendo che si assume una responsabilità di cura, di educazione, di apprendimento professionale, di progetto di vita che durerà almeno 25 anni, prima che i figli possano volare via. E questi genitori hanno quindi bisogno di vedere governi, giornalisti, imprenditori, sindacalisti e amministratori locali che progettano con lo stesso orizzonte temporale, e non con misure ristrette, per poche condizioni familiari e sostanzialmente “a termine”: ma quale governo e quale partito sta pensando con questo orizzonte di tempi lunghi, anziché pensare alla prossima scadenza elettorale, o peggio, al prossimo sondaggio? Triste riflessione da fare, nella settimana immediatamente precedente all’appuntamento elettorale del 26 maggio, che vede le elezioni europee, ma anche quasi 4mila Comuni alla prova delle urne.

Come ha saggiamente detto il premier Giuseppe Conte, “dal 27 maggio i toni del dibattito politico saranno certamente diversi”; purtroppo la mia previsione – nuovamente, spero davvero di essere smentito – è che anche il discorso sulla famiglia cambierà, ma non credo proprio che si passerà finalmente “dalle parole ai fatti”.

Credo, piuttosto, che la famiglia e le politiche a suo sostegno, da roboante promessa, su cui convocare appassionate conferenze stampa e lanciare decine di tweet, torneranno lentamente nel cono d’ombra in cui rimangono regolarmente, quando non c’è più bisogno di raccattare voti. E questo non riguarda solo il miliardo di euro promesso dal ministro del Lavoro, ma tutti gli altri partiti e soggetti politici che in questi ultimi vent’anni hanno avuto in qualche modo responsabilità delle politiche nazionali (con poche e lodevoli eccezioni). E poi ci si sorprende se le famiglie non si fidano più della politica.

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