Anche l’Italia ha la sua road map per far sì che il contrasto alla pandemia passi dalla fase emergenziale a quella ordinaria. Il Consiglio dei ministri ha infatti approvato all’unanimità il calendario delle restrizioni anti-Covid dopo il 31 marzo, quando appunto finirà lo stato di emergenza, saranno smantellati Comitato tecnico-scientifico e struttura commissariale e verrà abolito il sistema dei colori per le regioni. In sintesi, dal 1° aprile sparirà il super green pass nei luoghi di lavoro per gli over 50 (sarà richiesto solo il certificato base) e sui mezzi di trasporto pubblico locale, ma continuerà fino al 30 aprile a essere in vigore l’uso della mascherina nei luoghi al chiuso; stop a quarantene e Dad da contatto, con obbligo di isolamento solo per i contagiati. Poi dal 1° maggio termina l’obbligo del green pass. Resta in vigore fino a fine anno l’obbligo vaccinale per il personale sanitario e delle Rsa. “Mi sembra che l’impostazione adottata dal governo sia nel complesso corretta e adeguata – osserva l’ex ministro della Salute Girolamo Sirchia –. Ci sono però due punti che restano un po’ confusi, perché non si capisce bene come saranno strutturati”.



Partiamo dal primo punto oscuro.

Il Centro di controllo delle malattie infettive, il Ccm, l’equivalente del Cdc americano, cioè la struttura permanente che deve essere continuamente pronta alla possibilità che scoppi un’epidemia o che il Covid rialzi ancora drammaticamente la testa. Suggerirei caldamente di riattivare una struttura come quella messa in piedi nel 2003, e poi purtroppo smantellata, rendendola permanente, finanziandola in modo adeguato e dotandola di personale altamente qualificato, che sa cioè perfettamente il suo mestiere e che ha rapporti internazionali consolidati. Questa è la prima incognita da sciogliere.



Il premier Draghi in effetti ha annunciato che si sta provvedendo a mettere in piedi una struttura permanente che sappia reagire all’insorgenza di una pandemia.

Vero. Ma mi meraviglia il fatto che finora non sia stata manco ipotizzata. Sono passati vent’anni di colpevole dimenticanza, ma addirittura due anni di pandemia in cui questa soluzione non è mai stata riproposta. Lo si fa solo oggi, ne sono contento. Era ora, e forse era il caso di pensarci ben prima. Ma restano le domande cruciali: quanto tempo ci vuole per metterla in piedi? Di quali risorse, finanziarie e professionali, ha bisogno per funzionare davvero e per renderla efficiente? Da oggi mi concentrerei con forza su questi aspetti.



La seconda incognita che non la convince?

Se è senza dubbio giusto ridurre le restrizioni, perché ci sono limitazioni e vincoli anche molto pesanti alla vita sociale ed economica, è altrettanto giusto liberarci così velocemente delle mascherine, in un momento in cui l’epidemia non solo c’è, ma sta rialzando la testa e le vaccinazioni non sono state completate? È così devastante chiedere alle persone di continuare a indossarle nei luoghi al chiuso affollati? Farlo fino al 30 aprile non dà garanzie così solide: le mascherine andrebbero tolte quando l’epidemia sarà effettivamente spenta. Oggi non è così, con gli assembramenti al chiuso potremmo rischiare di avere di nuovo un’insorgenza dei contagi.

Con queste misure usciamo davvero dall’emergenza ed entriamo in una fase in cui si contrasta l’epidemia con misure ordinarie?

Difficile dirlo. Chi oggi nel mondo può dire che le infezioni siano definitivamente sotto controllo?

Dal 31 marzo le funzioni del Comitato tecnico-scientifico saranno assunte dall’Istituto superiore di sanità e dal Consiglio superiore di sanità. È giusto che sia così?

L’epidemia va monitorata e va tenuta sempre in vigile attesa la preparazione per contrastarla. Ecco perché torno al punto cruciale: serve un Ccm, i cui compiti sono proprio quelli di prevenzione e controllo. Non solo: siccome il Ccm nazionale si appoggia ai Ccm regionali, qualora questi svolgessero anche il compito di centri vaccinali, si otterrebbero due piccioni con una fava, garantendo un ottimo livello di coordinamento.

A proposito di vaccinazioni, visto che sempre il 31 marzo decadrà anche la figura del Commissario straordinario, la responsabilità della campagna vaccinale farà capo, fino al 31 dicembre, a una cosiddetta Unità per il completamento delle vaccinazioni, che sarà gestita dal ministero della Salute e dalle Regioni. Che cosa ne pensa?

È una soluzione condivisibile, bisognerà però capire come verrà strutturata.

Anche il sistema del green pass verrà gradualmente smantellato. Secondo Draghi, è stato un grande successo. Condivide questo giudizio?

Il green pass, come principio, è stata una buona soluzione, ha effettivamente impedito che i contagi dilagassero a livelli peggiori di quelli visti in questi mesi.

La nuova strategia del governo, d’ora in poi, sarà incentrata sull’osservazione dei dati epidemiologici per essere pronti e flessibili nell’adeguare le contromisure. Ma non è stato il mantra di questi due anni? Cosa potrebbe cambiare in concreto?

Il primo punto è organizzare la vigilanza, seguendo un modello condiviso, senza che nessuna regione si muova per conto proprio. Ma senza avere dei Ccm regionali, in grado di garantire un’osservazione capillare dei dati epidemiologici e una tempestività di intervento, mirato ed efficace, sempre in accordo con il Ccm nazionale, che a sua volta si raccorda con i Cdc esteri, non vedo cosa potrebbe cambiare rispetto a quello che è stato fatto finora. Solo questa rete di vigilanza permette di capire in anticipo cosa succede nel mondo, di valutarne immediatamente i rischi per il nostro paese e di mettere in atto rapidamente la migliore risposta.

Omicron 2 è una variante più contagiosa, ma più leggera rispetto alla Omicron 1. Segna la fine dell’epidemia?

Nessuno può saperlo. Su quali numeri si basa questa ipotesi? Per sostenerla bisogna produrre dei dati.

Partendo dai dati e dai trend, come definirebbe oggi lo stato dell’arte della pandemia?

È in risorgenza, con varianti diverse dal ceppo originario. Bisogna continuare a vigilare, qui sta il discrimine fra un possibile miglioramento o peggioramento della situazione. I contagi aumentano, ma la gravità diminuisce. Fino a un certo punto, però, perché c’è ancora un numero di decessi che resta un mistero.

Perché?

I numeri sono un po’ discutibili e approssimativi. Occorrerebbe invece indagare sull’eccesso di mortalità, che è l’indicatore che misura l’incidenza delle infezioni Covid. C’è qualcosa che sfugge.

Secondo alcuni consulenti di Speranza, che mettono in guardia sul fatto che ad agosto o in autunno potrebbe arrivare una nuova ondata e bisognerà tenersi pronti per affrontare la recrudescenza del virus, sarà necessario somministrare a tutti la quarta dose del vaccino. Sarà opportuno e necessario fare così?

La quarta dose resta un oggetto misterioso. Innanzitutto, bisogna appunto capire se serve a tutti. Io credo di no, perché sarà utile soprattutto per gli immunodepressi, per le fasce più anziane della popolazione che hanno mostrato una risposta immunitaria insufficiente e per chi ha patologie molto gravi. In secondo luogo, quale vaccino?

La sua risposta?

Pfizer insiste con il suo vaccino somministrato come quarta dose, io mi permetto di suggerire un’altra ipotesi: perché non provare, per i soggetti che citavo prima, con il vaccino della Novavax, che potrebbe dare a loro una maggiore tutela?

Per quale motivo?

Il Novavax è un vaccino vero rispetto a tutti gli altri, che stimolano la produzione di antigeni che ci si aspetta poi trovino una risposta anticorpale. Ma la risposta anticorpale vera si ha con la proteina Spike inattivata, sintetica.

(Marco Biscella)

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