C’è un prezzo molto alto che il pur necessario pragmatismo di Mario Draghi sta iniziando a far pagare al Paese. Il prezzo del cedimento alle posizioni indifendibili di un partito, il Movimento 5 Stelle, che – a parte poche eccezioni pregiate come la Castelli o la Dadone – esprime nell’esecutivo figure opache e non rappresenta più, al contrario di quattro anni fa, il 26% dell’elettorato ma un magro e calante 8%.
Se n’è avuta una dimostrazione ieri, quando il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto fiscale con dentro un sacco di roba, una di quelle minestre cui ci avevano abituato i governi del pentapartito. Tra le altre norme – per la cronaca – più tempo per pagare le cartelle fiscali sospese causa Covid, il rifinanziamento dell’ecobonus per le auto non inquinanti, un’aggiunta di 13 settimane di Cassa Covid fino a fine anno, nuove risorse per l’indennità ai lavoratori in quarantena e un pacchetto di misure per la sicurezza sul lavoro, forse l’unica cosa sul cui merito vale la pena entrare.
Cioè: l’unica cosa salvo il tema sul quale si è ricompattata la Lega di lotta e di governo dopo la brutta spaccatura tra Salvini e Giorgetti sul green pass, perché il ministro dello Sviluppo economico, il draghian-leghista Giorgetti, ha attaccato a corna basse il rifinanziamento del reddito di cittadinanza, deciso appunto nel decreto, sostenendo che “con i soldi dei lavoratori” (vero: e si vedrà perché) è stato rifinanziato un provvedimento che lavoro non ne crea (vero).
Secondo la Lega – ma sia Forza Italia che Italia viva, per bocca dei ministri Brunetta e Bonetti hanno condiviso l’attacco – questo rifinanziamento del “Rdc”, come si chiama in sigla, per 200 milioni di euro è stato fatto sottraendo risorse al reddito di emergenza (90 milioni), al pensionamento anticipato per lavori faticosi e usuranti (30 milioni), al pensionamento dei lavoratori precoci (40 milioni) e ai congedi parentali (30 milioni). Tutto vero. A Patuanelli – come si diceva prima, persona perbene malcapitata nel partito sbagliato – è toccato di difendere la posizione, anche se a soccorrerlo inopinatamente è stato il piddino Andrea Orlando, ministro del Lavoro, sostenendo che la misura non deve essere smantellata e difendendo il provvedimento col dire che il congelamento dell’economia indotto dal Covid ha reso “impensabile pensare che il lavoro ripartisse e l’impianto funzionasse considerando che abbiamo dovuto fare i conti con il lockdown”.
In realtà, come sanno anche le pietre, i dati dimostrano che il Rdc non funziona, o meglio: funziona a casaccio, come dimostrano i dati rielaborati dal Sole 24 Ore sul ridicolo caso di Napoli. A Napoli a marzo 2021 157mila famiglie intascavano il reddito o la pensione di cittadinanza per 459mila persone coinvolte nel complesso. Nello stesso periodo nell’intero Nord Italia erano 224.872 le famiglie che percepivano il reddito o la pensione di cittadinanza per poco più di 452mila persone coinvolte. Ma essendo l’importo medio più basso al Nord che al Sud a marzo sono stati spesi per il sussidio 109,7 milioni nell’intero Nord e 102,2 solo a Napoli. Vale sommessamente la pena ricordare che il Nord Italia conta circa 18 milioni di abitanti, Napoli città poco più di un milione che con la provincia salgono a 3,1. Insomma, una pagliacciata.
Una farsa triste è invece l’impossibilità fattuale di indirizzare i beneficiari del Rdc verso lavori successivi, adatti a ricondurli dentro il mondo produttivo. Tanto che anche Draghi, nel dire che non intende cancellare il Reddito, specificò però parlandone per la prima volta in pubblico, che avrebbe voluto riscriverne la parte relativa alle politiche del lavoro.
Ovvio: l’Rdc che secondo quel zuzzurellone di Di Maio avrebbe “sconfitto la povertà” è uno sconcissimo ammortizzatore sociale, del tutto decorrelato da qualunque seria possibilità di creare lavoro e prosciugare disoccupazione. I Cinquestelle continuano a difenderlo perché sanno di poter ricavare più lì che altrove qualche residuo, magro consenso: ma è inutile ed anzi sbagliato, sia come sussidio che come strumento attivo. Va semplicemente cancellato e ripensato di sana pianta, e soprattutto è veramente una bestemmia, ha ragione Giorgetti e la Lega, rifinanziarlo sottraendo soldi ad altri strumenti.
Perché Draghi l’ha fatto? Per realismo. È da questo Parlamento, con dentro il 26% dei parlamentari eletti (numerosi transfughi a parte) nelle liste dei 5 Stelle, che chiede i voti ai suoi decreti. È da questo Parlamento che a febbraio verrà eletto il nuovo presidente della Repubblica. Un Parlamento condizionato da un partito-meteora che i fatti hanno abbassato a un terzo dei consensi di quattro anni fa è ancora l’interlocutore cruciale di Draghi. Che deve farci i conti. C’è solo da augurarsi – ed anzi, prevedere – che prevalgano i conti con il buonsenso e con il bilancio pubblico. Però, che fatica.
P.S.: i provvedimenti per la sicurezza sul lavoro sono ripieni di buone intenzioni ma non bastano, anzi forse non servono proprio a niente se a sorreggerli non arriverà un drastico potenziamento del controllo del territorio. Lecito dubitarne.