Venerdì è stato approvato un nuovo decreto fiscale e nel leggerlo ho sentito risuonare nella mia testa il ritornello della canzone di Lucio Battitsti “I giardini di marzo” che recita: “Che anno è, che giorno è?”. Il perché è semplice: il nuovo decreto, ancora una volta, ma è così da 18 mesi, interviene a tempo scaduto per rinviare il pagamento delle cartelle e delle rateazioni già più volte rinviato.
La parte fiscale del provvedimento prevede che non si decade dalle rateazioni in corso se non si versano 18 rate e non 10 com’era fissato dal precedente provvedimento. Viene altresì fissato che chi non ha versato le rate sin qui scadute ha tempo fino al 30 novembre prossimo per non decadere dalla dilazione concessa in occasione dell’adesione alla rottamazione. L’unica “innovazione” risiede, dunque, nell’aver previsto che per questi nuovi ruoli, notificati dal 1° settembre 2021, ci sono 150 giorni a disposizione per effettuare i versamenti anziché i 60 “naturali” fissati dalla norma ordinaria. Ancora una volta, quindi, si è agito senza programmazione (ri)creando così un maxi ingorgo fiscale. I mesi di novembre e dicembre, infatti, sono piene di scadenze: rate dei saldi dell’anno precedente, secondo acconto Imu, acconto Iva, ecc.
A ben vedere la realtà potrebbe avere anche una lettura diversa. L’attuale sistema è pieno di scadenze che già normalmente appesantiscono la vita dei cittadini e delle imprese, ma che diventano un ostacolo enorme se contestualizzate nel periodo pandemico. I continui rinvii, dunque, pur utili, si sovrappongono a un sistema della riscossione inefficiente. Gli unici a cui giova il rinvio al 30 novembre sono coloro che avendo un reddito inferiore ai 30mila euro potrebbero beneficiare dello stralcio dei ruoli con carichi fino a 5mila euro affidati dal 2000 al 2010 all’agente della riscossione. Il 31 ottobre, infatti, l’Agenzia delle Entrate – Riscossione dovrà procedere allo stralcio automatico di questi ruoli.
È evidente ancora una volta, dunque, che il Governo continua a navigare a vista di rinvio in rinvio. Anziché, infatti, adottare un provvedimento che individua in un periodo più o meno lungo il tempo entro cui rateizzare lo scaduto “induce”, attraverso i continui rinvii, ad accumulare rate impagate preparando un muro contro il quale molti contribuenti, in difficoltà e/o meno avveduti, rischiano di andare a sbattere. Siamo, dunque, difronte a un deficit di programmazione o all’orizzonte c’è la terra?
Dopo l’approvazione della delega fiscale è calato il silenzio sulla riforma fiscale complice anche l’appuntamento elettorale delle amministrative. In attesa di comprendere se la delega è evanescente o verrà arricchita di contenuti non rimane che ribadire, banalmente, come non sia più procrastinabile la riforma fiscale.
Il Presidente di Confindustria Bonomi ha sottolineato come questo sia il momento in cui “serve il coraggio di una manovra forte sul cuneo” che metta i soldi nelle tasche degli italiani e delle imprese per renderle più competitive, visto che i margini si sono ridotti complice il rialzo del costo delle materie prime e dell’energia. Il grido di Bonomi è implicito nella canzone di Battisti che ha dato il via a questa riflessione. La canzone non è recente e ciò nonostante attuale. Una strofa recita, infatti, “al ventuno del mese (terza settimana, ndr) i nostri soldi erano già finiti”. Il tema della terza settimana, centrale nel dibattito politico fino a inizio pandemia, è stato sostituito dal continuo confronto sul Reddito di cittadinanza anch’esso rifinanziato dall’ultimo decreto senza intervenire sui meccanismi di accesso.
I temi del lavoro, del reddito, delle crisi aziendali vengono solo distrattamente trattati dalla politica. Quando lo sono è per sottolineare la possibilità di conflitti sociali che si possono generare quale conseguenza della crisi. Nelle more che qualche intervento serio venga adottato vale la pena sottolineare che la criminalità ha ripreso, in alcune aree del Paese, a dettare la sua legge.
A Napoli negli ultimi dieci giorni si registra un incremento degli omicidi e delle estorsioni che non lascia presagire nulla di buono qualora questi atti si dovessero estendere ad altre aree del Paese a rischio povertà.
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