Sterminare la metà della fauna selvatica italiana in cinque anni. Un bel traguardo. Una cosa che se solo la pensi ti vengono brividi. Abbattere, ammazzare, forse macellare, centinaia di migliaia di esseri viventi. Con la scusa che i cinghiali girano fuori Roma si potrà cacciare nelle riserve, sui monti, nelle foreste più recondite del Paese. E i cinghiali sono solo un pezzo. Tutte le specie “ibride” potranno, anzi dovranno, essere abbattute. Una pulizia etica con finalità finto-ecologiche per rendere le razze italiche le uniche vincenti. Il tutto affidato, in buona sostanza, ai cacciatori privati, cittadini che potranno usare esche vive, richiami, mangimi avvelenati, animali impagliati.
Si prevede che la massa di animali uccisi sia tale che si potranno predisporre appositi centri di lavorazione della carne. Ed ovviamente i controlli saranno a campione, i numeri affidati alla buona fede dei privati. In pratica un’autorizzazione allo sterminio di massa di razze animali ritenute impure. E perciò indegne di vivere. Loro. Noi invece che siamo puri come il titanio, che abbiamo nel sangue i geni degli africani di Annibale, che per due anni fece divertire le truppe con le donne italiche, che abbiamo avuto gli arabi per secoli, i goti, i greci, noi che siamo frutto di un miscuglio genetico impareggiabile, noi invece dobbiamo dominare questa natura infame che si permette di esistere nel mezzo dei campi e delle foreste.
Noi i padroni. Noi che possiamo sterminarli a frotte, nascosti nella notte coi visori notturni mentre loro scappano. Altro che caccia e rispetto. Una “operazione speciale” di abbattimento contro gli invasori impuri. Il tutto per non mettere a posto le cose come si doveva. Curando il terrario, selezionando gli interventi, affidandosi alle forze dello Stato deputate a questo.
Ma Lollobrigida è uno pratico. Ha il piglio del generale che guida le doppiette con gli stivali infangati ed il doppio petto blu. Le sue armate sono pronte a sbaragliare cervi e caprioli spuri, i lupi solitari nelle montagne, ma anche tutto quello che non è razza italica. Siamo come i Neanderthal cacciatori e raccoglitori, negando l’evoluzione del neolitico in comunità stanziali evolute. Siamo predatori impavidi che sfogano l’istinto maschio col profumo della polvere da sparo. Forti con le bestie immonde da dimezzare usando ogni sistema che immaginate. Reti, archi, fucili di ogni esotica fattura, fosse, mute di cani, ogni cosa. Il tutto, ovviamente, per la natura. Che sarebbe, per Lollobrigida e Pichetto, un meraviglioso deserto fatto di razze italiche (pochi esemplari per carità) pieno di imbolsiti uomini di mezza età che sparano in giro per fare il vuoto attorno ai campi della Coldiretti. La loro natura. Certo, nel decreto si “suggerisce” di recintare i campi e pulire i fossati, ma a che servirà tra cinque anni, quando tutte le creature saranno state espulse, macellate e mangiate non si capisce.
Questo siamo diventati, una società che uccide e stermina ciò che esiste e da fastidio. Che espelle uomini, ammazza animali, creature che vogliono solo vivere. E le bestie sarebbero loro. Noi invece che siamo? Che diritto abbiamo sul creato, come possiamo permetterci di pensare che tutto diventa lecito per un’operazione di sterminio di esseri viventi?
Vedrete che le scuse saranno le solite. La decenza, il decoro, l’economia, l’urgenza. Il solito minestrone che fa venire fuori la parola sacra: emergenza. Ed allora tutto diventa concesso, anche trasfigurarci come società e perdere ogni equilibrio nel rapporto con la natura, che vogliamo plasmare e far diventare come pensiamo che sia giusto. Per noi. È questo che sconcerta nel decreto. La massa di deroghe, autorizzazioni e metodi che diventano utili per lo scopo. La assoluta assenza di ogni ipotesi di gestione del fenomeno con sapienza e intelligenza. La descrizione degli esseri viventi ridotti ad oggetti di cui disfarsi in fretta. Una rozzezza di pensiero e un’involuzione del potere che assume la forma di una vera e propria provocazione culturale. Così come trattiamo gli animali trattiamo ciò che non ci assomiglia e perciò ci disturba con la sua esistenza.
Questi due ministri, con questo atto, hanno chiarito da che parte sono sul piano culturale, testimoniano di non capire la complessità del creato, di non essere capaci di comprendere che sono lì per tutelare il patrimonio della nazione, non non distruggere quello che non capiscono. Proporre una soluzione finale per la selvaggina spuria, autorizzando la caccia persino nelle riserve, affidando al “cittadino soldato” compiti che dovrebbero essere dello Stato è un modello pericoloso, dannoso e già visto nella storia che testimonia che siamo nelle mani sbagliate. Soluzioni semplicistiche, raffazzonate, spietate che portano indietro il Paese sul piano culturale e politico e che rendono oggi più che mai necessario difendere l’Italia e la sua natura da un duo di ministri che pianifica la morte collettiva di centinaia di migliaia di animali inermi senza neppure porsi per un attimo il dubbio se sia la cosa giusta, non la più efficace. Ma questa, per capirci, è la loro natura. Per fortuna non la nostra, quella di chi vede nella complessità del creato l’opera più grande, nel rispetto di ogni forma di vita la vera essenza dell’uomo, nel ponderare le scelte e prendersi le responsabilità di percorsi complessi ma giusti. La vera etica che distingue nell’agire gli uomini dalle bestie.
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