Le imprese italiane si trovano oggi in una crisi di liquidità senza precedenti, che se non verrà adeguatamente gestita porterà al collasso del sistema economico. La scelta effettuata per fronteggiare questo significativo problema sistemico è stata quella di trasferire sul sistema bancario italiano una grandissima responsabilità, senza però dotarlo degli adeguati strumenti incentivanti e di tutela per poter assurgere a tale importante ruolo che gli viene richiesto.



I limiti del sistema ideato sono già stati testati dagli imprenditori che, fortemente preoccupati della situazione finanziaria delle loro aziende, si sono mossi con grande tempestività. In particolare, coloro che sono a oggi riusciti a completare l’istruttoria di una pratica di finanziamento con garanzia Sace, hanno in primis dovuto scontrarsi con la confusione che regna nel sistema bancario. Pochissime banche hanno pronti i formulari per la richiesta di finanziamento garantito, dunque, una volta trovato l’istituto bancario che è effettivamente pronto a istruire la pratica, e preparati debitamente i documenti richiesti, sono stati sottoposti all’analisi del merito creditizio, grande responsabilità lasciata alla banca in questi tempi estremamente incerti.



Seppur le indicazioni per la valutazione del merito creditizio date al sistema bancario siano quelle di basarsi più sullo storico che sul prospettico, la banca priva di incentivi e tutele (giuridiche in primis), non potrà non porsi il problema di valutare la capacità di generazione prospettica di liquidità dell’azienda. Quindi, in un momento storico senza precedenti, in cui tutti i più illustri operatori (in primis Assirevi) affermano che sia impossibile fare previsioni attendibili, verrà richiesto all’imprenditore di avere capacità divinatorie ed elaborare un business plan o budget di tesoreria prospettico attendibile. A questo punto la banca valuterà il merito creditizio anche sulla capacità attesa di ripagamento del soggetto richiedente, valutazione che sarà effettuata su stime che oggi non possono che essere incerte, peraltro, appare estremamente difficile, se non impossibile, individuare l’operatore economico che si senta sereno a contrarre debiti fino al 25% del fatturato (o il doppio del costo del personale, in alcuni casi si può arrivare ben oltre il 50% del fatturato), in questo contesto macroeconomico, sicuro di riuscire a produrre nei prossimi sei anni flussi di cassa adeguati per ripagare tale debito contratto.



Oggi è necessario constatare con urgenza che non è stato ideato alcuno strumento per incentivare la banca a superare le logiche tradizionali di impiego. Paradossalmente la banca sarà assolutamente disincentivata ad affidare aziende nei settori industriali oggi più deboli, quelli che hanno più disperato bisogno di liquidità, ma che sono anche quelli che possono offrire meno certezze sulla capacità di ripagamento. In questo contesto c’è da aspettarsi che la banca darà la precedenza alla rinegoziazione di eventuali finanziamenti in essere, cadendo nella tentazione di irrobustire la propria posizione grazie all’utilizzo della garanzia MCC, non necessariamente assurgendo al fine di dare la liquidità urgente alle aziende in questo delicato momento storico.

A completamento dell’analisi si evidenzia che il decreto liquidità non ha previsto alcuna esenzione penale. In un contesto di mercato incerto che non permette di capire quale futuro possa avere un’azienda, laddove malauguratamente l’imprenditore vada incontro al fallimento, lo stesso imprenditore che con grande difficoltà sia riuscito a ottenere finanziamenti privilegiati e garanti per far fronte a pagamenti chirografari al fine di garantire la continuità, incorrerà nel rischio di essere accusato di aver aggravato il dissesto e aver fatto pagamenti preferenziali. Per mitigare tali gravi rischi che incombono sulla classe imprenditoriale italiana, paradossalmente, si potrebbe pensare di superare le lacune del legislatore, aprendo le porte a una nuova metodologia di accesso alla liquidità, ovvero, mediante utilizzo dei piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti, alla ricerca degli esimenti (previsti dagli art. 67 e 182-bis della legge fallimentare). Tale ipotesi comporterebbe costi esorbitanti per gli imprenditori e uno scarso incentivo per il sistema bancario, fallendo ancora una volta l’obiettivo, ovvero quello di fornire urgentemente liquidità alle aziende italiane, pena il collasso del sistema.

Finiamo con i tempi. Una volta passato il vaglio della banca, la pratica sarà trasferita in Sace, la quale effettivamente sarà celere in quanto le spetta un mero controllo formale. Una volta raggiunto l’assenso di Sace, finalmente banca e imprenditore potranno stipulare il contratto di finanziamento, che richiederà a sua volta tempo. Per le pochissime aziende che avranno effettivo accesso a questa forma di credito garantito, l’erogazione arriverà con imperdonabile ritardo, tutte le altre aziende, non altrettanto fortunate, sono abbandonate a loro stesse.

Ovviamente, questo è lo scenario per le aziende che erano in bonis ante covid. In riferimento a quelle posizioni che erano classificate Utp già prima della pandemia, oppure per quelle società che stavano efficacemente attuando un progetto di ristrutturazione, ma che non avevano ancora ottenuto la riabilitazione da parte del sistema bancario, nulla è stato fatto o previsto. Inutile dire che queste società in assenza di aiuti per la gestione dell’emergenza non hanno alcuna possibilità di sopravvivenza.

La speranza è quella che ci si accorga molto presto dell’inadeguatezza delle norme vigenti e vengano creati dei format di istruttoria per la valutazione del merito creditizio ad hoc per il momento storico (che si discostino dalla prassi seguita fino a oggi), che vengano creati efficaci strumenti di incentivo per le banche e di tutele per banche e imprenditori. Infine, è necessario con grande urgenza che vengano creati strumenti ad hoc per favorire l’erogazione di liquidità per le società Utp.

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