Proseguono gli incontri e i vertici di maggioranza a palazzo Chigi per trovare una quadra sul decreto aprile, diventato ormai maggio, che si arricchisce di nuovi capitoli man mano che passano i giorni. Sembra infatti che conterrà anche una sanatoria per gli immigrati irregolari e c’è la possibilità che venga ridotto l’orario di lavoro a parità di salario. Sulla stampa è emersa anche la possibilità che l’esecutivo “spacchetti” gli interventi posticipiando quelli che sarebbero in teoria più urgenti, ovvero gli aiuti alle imprese. Il fattore tempo è importante, come ci conferma Vittorio Coda, Professore emerito nell’Università Bocconi, dove ha insegnato Strategia e Politica Aziendale, «quindi il Governo deve indubbiamente fare in fretta, ma perché non ci siano ulteriori ritardi nell’attuazione dei provvedimenti di sostegno alle imprese è importante anche dare un ruolo preciso alle banche. E bisogna porre due paletti fondamentali».
Quali?
Innanzitutto occorre chiarire che vanno sostenute con interventi diretti e/o con finanziamenti garantiti dallo Stato soltanto quelle imprese che al 31 dicembre 2019 erano in bonis e che a febbraio, prima che scoppiasse la pandemia, non avevano dato segnali di ritardo nei pagamenti dei contributi, delle imposte, delle rate dei mutui, ecc. Imprese, quindi, che erano sane e solvibili. Conseguentemente, le banche dovrebbero essere responsabilizzate unicamente nell’esaminare la situazione delle imprese ante-coronavirus, per accertarsi che sia contributi diretti che finanziamenti a tasso agevolato non vadano ad aziende che non erano in bonis, oltre che, ovviamente, nel non utilizzare le somme erogate per rientrare di finanziamenti pregressi da loro concessi. Questo è l’unico tipo di responsabilità che andrebbe posta in capo alle banche, non come invece fa il decreto liquidità.
Qual è invece il secondo paletto fondamentale?
Le imprese devono presentarsi presso le banche di cui sono clienti e che quindi le conoscono bene e non hanno quindi bisogno di fare accertamenti ai sensi della normativa antiriciclaggio. In questo modo, la documentazione che le aziende dovrebbero fornire potrebbe limitarsi al bilancio al 31 dicembre 2019 e al budget di cassa del mese in corso e dei due successivi.
Mi pare di capire che lei coinvolgerebbe le banche anche per l’erogazione di somme a fondo perduto.
Secondo me, tutto deve passare attraverso il sistema bancario. Perché diversamente queste somme a fondo perduto potrebbero finire a imprese decotte non a causa del lockdown o persino ad aziende dietro cui potrebbe celarsi la criminalità organizzata. Deve tutto passare dalle banche, con una responsabilizzazione esclusiva di quest’ultime nell’accertare che i soldi vadano a imprese che erano in bonis e che hanno effettivamente un problema di liquidità dovuto al coronavirus.
Dunque, come già auspicava, occorre che si modifichi il decreto liquidità specie per quel che riguarda la responsabilità delle banche.
Sì, ma non dobbiamo dimenticare che il decreto liquidità vale solo per i finanziamenti con garanzia statale, quindi è importante essere veloci nel consentire di far arrivare i finanziamenti diretti a fondo perduto. Le cose sono collegate a livello di urgenza e importanza.
Sia le garanzie sui prestiti che i finanziamenti a fondo perduto impattano però sul debito pubblico che nel nostro Paese è già elevato. Questo non rappresenta un ostacolo a fornire le risorse necessarie alle imprese?
Per superare questo ostacolo occorre ottenere in sede di Unione europea che tutto l’incremento di debito pubblico dovuto a far fronte all’emergenza Covid-19 non venga conteggiato ai fini del Patto di stabilità e crescita una volta che verrà meno la sua sospensione. Inoltre, ci deve essere un serissimo impegno da parte del Governo a portare a termine un piano di riforme che il nostro Paese da tempo deve attuare per risolvere i suoi problemi, favorire lo sviluppo e diminuire quindi l’incidenza del debito pubblico sul Pil.
Il Governo sta anche valutando la possibilità di un intervento dello Stato nel capitale delle imprese. Cosa ne pensa?
Le imprese sane possono e devono essere messe in condizioni di sopravvivere senza che lo Stato entri nel loro capitale, deviando quindi dal principio di sussidiarietà e restringendo l’area della libertà d’iniziativa economica privata.
Magari si potrebbe pensare a un intervento diretto dello Stato solo nelle imprese strategiche…
Anche in questo caso bisognerebbe muoversi con estrema cautela, perché la gestione pubblica, come pure il caso di Alitalia dimostra, rischia di essere disastrosa.
(Lorenzo Torrisi)