Tanto tuonò che piovve di stravento. Il virus che vogliamo tenere lontano da noi e dai nostri casi incontrerà qualche ostacolo in più nei suoi tentativi di raggiungerci nei giorni festivi e prefestivi dal 24 al 6 gennaio, ma avrà vita più facile nei 4 giorni feriali dello stesso periodo. Ci si potrà muovere, ma anche no al di fuori delle zone che in quei giorni torneranno rosse: dipenderà dal numero di abitanti del Paese di residenza e dal raggio di spostamento desiderato. Insomma: il decreto (non un Dpcm: e questa è una buona cosa) che il governo Conte 2 ha varato ieri sera è come una donna un po’ incinta, essendosi posto l’obiettivo di mediare tra ministri rigoristi e governatori lassisti (scusino tutti la semplificazione) scontenta un po’ entrambi gli schieramenti.



E trasmette – diciamolo con tutto il rispetto che si deve a istituzioni nei cui panni nessuno sano di mente vorrebbe trovarsi adesso – la sensazione che dalle parti di Palazzo Chigi e ministeri connessi non si sappia che pesci pigliare.

Ma ci sono due questioni che il decreto lascia aperte, anzi scoperte come nervi infiammati. La prima è il pendolarismo Nord-Sud che in questo weekend – ma sì: proprio da ieri e nelle prossime ore – ha tutto l’agio di esprimersi lungo le direttrici stradali e ferroviarie, come già avvenne l’estate scorsa, perché da giorni l’esecutivo aveva lasciato trapelare la necessità di una stretta per cui tutti quelli che hanno potuto, complice magari anche la possibilità di lavorare da remoto, sono già partiti. E allora che senso ha chiudere la stalla a buoi scappati?



L’altro punto è l’eterna questione dei ristori: sia sul “se” che sul quanto. Ristoranti e bar, colpiti di nuovo in pieno da questo nuovo lockdown a scacchiera (o a singhiozzo, per dirla più ruvida) saranno destinatari di 645 milioni (cifra ridicola per la sua portata) che verranno bonificati direttamente dall’Agenzia delle Entrate sui conti correnti dei destinatari nella stessa misura di precedenti ristori, sui quali – lo sappiamo – non è stata per niente unanime l’esperienza dei richiedenti. L’impressione è che insomma anche stavolta una buona parte dei coperchi che il governo dichiara di aver approntato per coprire le pentole delle restrizioni minaccia di non coprire un bel niente.



Giusto per amor di riepilogo, ecco le misure riassunte in estrema sintesi:

Nei giorni 24, 25, 26, 27 e 31 dicembre 2020, e nei giorni 1, 2, 3, 5 e 6 gennaio, in tutta Italia saranno in vigore le regole relative alla “zona rossa”.

Nei giorni 28, 29 e 30 dicembre 2020, e nel giorno 4 gennaio 2021, in tutta Italia saranno in vigore le regole relative alla “zona arancione” (si potrà uscire da un Comune se la popolazione non supera i 5mila abitanti e se il Comune dove ci si vuole spostare non è più lontano di 30 chilometri. Resta vietato in ogni caso uscire dal proprio Comune se ci si vuole recare nel capoluogo di provincia).

Anche nei giorni in cui varranno le regole della “zona rossa” in tutta Italia sarà consentito uscire di casa per andare in visita nelle abitazioni di parenti e amici, pur se rispettando regole precise. E cioè:

1) Le persone che si spostano non possono essere più di due, a meno che non portino con loro figli minori di 14 anni.

2) Lo “spostamento verso le abitazioni private è consentito una volta sola al giorno in un arco temporale compreso fra le ore 5 e le ore 22”, quindi è obbligatorio rispettare il coprifuoco.

3) Si può andare “verso una sola abitazione ubicata nella medesima regione”: per fare un esempio, chi fosse andato a pranzo a casa dei nonni, non potrà andare la sera stessa a cena dai cugini. Ecco un consiglio che avrebbe dato non solo un virologo, ma anche qualsiasi bravo dietologo.

Cosa resta di questo ennesimo kamasutra normativo dell’esecutivo? Il disperato bisogno di prendere tempo rispetto all’unica soluzione radicale della crisi pandemica, il vaccino, sulla cui rapidità di somministrazioni le fonti istituzionali – dal ministero al Cts al super-commissario Arcuri – non diramano segnali univoci o indicazioni convergenti, senza dire che lo stesso Conte ha escluso l’opzione dell’obbligatorietà, la qual cosa preverrà molte polemiche e rallenterà di molto l’efficacia.

Sullo sfondo, ecco profilarsi la nuova rissa da pollaio tra partiti sulla prima scelta del dopo-Capodanno: il rientro nelle scuole “in presenza” oggi fissato al 7 gennaio. Sarà confermato o i dati suggeriranno di procrastinare la decisione?

E infine l’altro virus, quello della rissa intestina alla maggioranza di governo. Matteo Renzi con la sua Italia Viva darà tregua a Conte o insisterà nelle sue minacce e, nel caso, romperà gli accordi mandando il Paese alle urne? Improbabile, perché segherebbe il ramo dov’è appollaiato anche lui. Ma insomma, il ragazzaccio di Rignano, ormai soprattutto se non soltanto malmostoso potrebbe anche, chissà, decidersi che stavolta può provare l’ebbrezza di far seguire alle parole i fatti e alla minacce gli atti.