Via libera al decreto riaperture, anzi no: nella notte, i presidenti delle Regioni ingaggiano un lungo scontro sul Dpcm attuativo dell’accordo con il governo. Temono il “caos normativo”. Solo questa mattina si capirà come l’ennesima frattura è stata ricomposta. Davvero non c’è un attimo di sosta per il presidente del Consiglio, che ha creduto di chiudere la giornata con l’ennesima conferenza stampa. Ieri sera, infatti, Giuseppe Conte è tornato in tv a reti unificate. Erano passati appena tre giorni dall’ultima comparsata e il premier ha sentito il bisogno di regalare agli italiani l’ennesima apparizione di sabato sera. C’era da comunicare le novità per la riapertura di domani, peraltro già largamente anticipate da giornali e tv. Ma il bello dell’appuntamento serale con Palazzo Chigi è quell’idea di “Grande fratello” che il portavoce di Conte, Rocco Casalino, ha mutuato dal reality di cui è stato primattore: tutto è già previsto (il luogo, i protagonisti, la trama, l’esito) ma tutto si gioca mentre si svolge, nelle espressioni, nel tono della voce, nei sottintesi, nelle gaffe.



La fase 2 è un appuntamento mediatico, una sorpresa che si disvela a poco a poco. Ieri poi c’è stata una svolta comunicativa, con i giornalisti tornati a porre domande in carne e ossa e non più in videoconferenza. Un’occasione che ha offerto a Conte la possibilità di sfoggiare un’arroganza che lo avvicina a Matteo Renzi: a un cronista che gli chiedeva conto degli approvvigionamenti di dispositivi protettivi, il premier ha replicato che “se lei sa fare meglio di Arcuri ne terremo conto”. A chi gli ha ricordato il disperato bisogno di soldi manifestato dalle aziende, Conte ha risposto che “il governo confida nell’Europa”, cioè nel Recovery Fund che tutti gli altri partner disprezzano. Titoli di Stato patriottici per invogliare gli italiani a investire i loro risparmi nella ricostruzione? Mai più. Troppo tremontiani. Meglio il cappio di Bruxelles.



La verità su questa fase 2 è venuta poco dopo la conferenza stampa di Conte. Al programma di Rai2 “Petrolio” era ospite il ministro Stefano Patuanelli. Gli è stato chiesto quanti miliardi, della montagna promessa, sono a fondo perduto. Un attimo di esitazione, e il ministro dello Sviluppo economico ha risposto: “16”. Cioè la somma della cassa integrazione per i dipendenti e dei 600 euro – seconda tranche – per gli autonomi, più il taglio delle scadenze fiscali di giugno per una ridottissima platea di aziende. La soglia per accedere ai contributi è di avere perso almeno un terzo dei ricavi rispetto all’anno scorso: ma simili aziende (con perdita di un terzo del fatturato) sono morte da un pezzo. Il resto sono crediti di imposta e incentivi talmente complicati da ottenere che non varrà la pena perdere troppo tempo per chiederli.



I giornalisti domandano se sia mai stata presa in esame l’eventualità di un semestre fiscale bianco. Conte ha spiegato che l’Italia non può permettersi di perdere un gettito simile. Ma qualcuno avrebbe dovuto spiegare all’Avvocato del popolo che l’ammanco si verificherà ugualmente senza sostegni alle aziende e con un Pil già asfittico (si considerava un successo la crescita dello 0,3%) destinato a precipitare. Già oggi molte aziende si trovano davanti al bivio se pagare le tasse oppure i dipendenti, proprio come 10 anni fa. A ottobre non potranno nemmeno porsi l’interrogativo perché non avranno soldi né per gli uni né per le altre.

Eppure Conte continua a presentarsi come il tutore del tessuto imprenditoriale. “Ripartiamo perché accettiamo un rischio calcolato, altrimenti non potremo mai ripartire”, ha detto. “Dovremmo aspettare la scoperta e la distribuzione del vaccino ma non ce lo possiamo permettere, ci ritroveremmo con un tessuto produttivo e sociale fortemente danneggiato”. Lui l’ha presentata come ipotesi, ma tra qualche mese sarà una tragica realtà.

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