“Una non soluzione”: così Ettore Prandini, presidente nazionale di Coldiretti, liquida la questione della regolarizzazione degli immigrati già presenti nel nostro paese, un nodo che, in vista del decreto Rilancio, sta impegnando in queste ore il governo in un duro braccio di ferro interno alla maggioranza. “Al di là di quel che si è fatto credere – aggiunge – di questi immigrati in agricoltura ne lavorano ben pochi”. Coldiretti, piuttosto, ha lavorato e sta lavorando su più ipotesi: “Oltre alla proroga dei permessi di soggiorno dei braccianti già presenti in Italia, abbiamo chiesto l’istituzione dei corridoi verdi, i voucher agricoli, la cancellazione degli oneri contributivi per tutto il 2020 e una dotazione maggiore delle linee di credito”. Il timore, infatti, è che “la mancata raccolta possa generare, da un lato, un innalzamento dei costi per i consumatori e, dall’altro, un preoccupante calo dell’export del 20%, con la perdita dei mercati esteri che con grande difficoltà siamo riusciti a conquistare e che saremo costretti a lasciare ai nostri competitor”. Non solo: come conferma la stima di 700mila ragazzi under 15 a rischio fame, con il lockdown da emergenza coronavirus l’Italia va incontro a un “veloce impoverimento del nostro tessuto sociale”.



Perché definisce la regolarizzazione una non soluzione?

Da un lato, per i tempi tecnici. Dal momento della presentazione del decreto alla sua approvazione, passerebbero mesi e queste persone, secondo le nostre stime, potrebbero concretamente essere utilizzate nel settore agricolo non prima di ottobre. Quindi, fuori totalmente da quelle che sono le necessità delle nostre imprese, soprattutto nei mesi decisivi dell’estate.



E in seconda battuta?

Al di là di quel che si è fatto credere, di questi immigrati in agricoltura ne lavorano ben pochi. Attraverso i “corridoi verdi” ogni anno sono 370mila i cittadini provenienti da altri paesi, non solo europei, che entrano in Italia come manodopera stagionale, ma regolarmente assunti e tutelati nelle nostre imprese. Invece, facendo volutamente confusione, si continua a far credere che l’agricoltura sia il settore che più usufruisce di manodopera irregolare, ma questo non è vero. Sono fenomeni che là dove avvengono vanno denunciati e perseguiti. Non è con una sanatoria che daremo il buon esempio, anzi.



I numeri e le cronache, però, sembrano dire il contrario…

I numeri dicono che questi irregolari sono concentrati, purtroppo, in ghetti dislocati in poche province del Mezzogiorno. Le realtà che più necessitano di manodopera stagionale regolarmente assunta, oltre ovviamente alcune province del Sud, sono – e ci tengo a dirlo – soprattutto tre Regioni del Nord Italia: Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte.

Perché ci tiene a dirlo?

Perché non si può far torto alla professionalità delle figure che le nostre imprese agricole utilizzano. Dire che chiunque può raccogliere un frutto significa banalizzare il lavoro che si fa nei campi. È un’affermazione vera fino a un certo punto. Per esempio, la raccolta sbagliata delle fragole condiziona del tutto l’offerta del prodotto presso i canali di vendita. E questo vale per molta frutta e verdura.

Si corre il rischio di bloccare la filiera agroalimentare e di andare incontro a carenza di frutta e verdura?

No, questo non succederà, ma rischiamo un aumento dei prezzi per i consumatori, soprattutto per i prodotti ortofrutticoli.

Lei accennava all’inizio ai “corridoi verdi”. A che punto siamo?

Siamo stati il primo paese europeo a muoverci in questa direzione e come Coldiretti ne abbiamo parlato direttamente con i commissari Ue alla Salute e all’Agricoltura. Questi corridoi danno la possibilità di avere una facilitazione sulla mobilità delle persone nel contesto europeo, ma è chiaro che gli accordi – come in modo ampio sono riusciti a fare Germania e Regno Unito, tanto che hanno in gran parte risolto i loro problemi di manodopera stagionale – devono essere perfezionati con i governi dei paesi interessati, dalla Romania alla Polonia.

Par di capire che gli accordi non siano ancora stati concretizzati…

Purtroppo no, nonostante mi senta di ringraziare personalmente l’ambasciatore romeno in Italia che si è fattivamente adoperato per cercare di proporre anche soluzioni tampone alternative.

E sui voucher agricoli?

A nostro parere sono lo strumento più idoneo per superare tutti i problemi di carattere burocratico: abbattere lungaggini e farraginosità sarebbe un segnale importante per le nostre imprese che stanno vivendo un periodo straordinariamente drammatico. Su questo strumento i sindacati non sono d’accordo e noi non capiamo il perché di tanta contrarietà, perché già da aprile – ma la situazione è destinata a peggiorare a maggio e ancor più per i mesi estivi – ci ritroviamo con il 35% dei prodotti ortofrutticoli ancora in campo.

Con quali possibili effetti?

La mancata raccolta genera non solo un innalzamento dei costi per i consumatori, specie per i cittadini delle fasce più deboli, ma anche – aspetto ancor più preoccupante – la perdita dell’export in quei mercati esteri che con grande difficoltà siamo riusciti a conquistare e che saremo costretti a lasciare ai nostri competitor. Ecco perché continuiamo a chiedere i voucher agricoli, che consentono all’imprenditore di valutare, fare selezione e scegliere le persone che si offrono per lavorare nella sua impresa.

Avete stimato quale sarà l’impatto della pandemia sul settore agricolo, in termini di calo della produzione e di mancato export?

Tenendo presente che rischiamo di perdere in media il 35% del raccolto, l’export potrebbe calare non meno del 20%.

Dal Cura Italia all’imminente decreto Rilancio come giudica le risposte del governo per aiutare il settore agricolo ad affrontare e superare l’emergenza coronavirus?

Per quanto riguarda le linee di credito, abbiamo apprezzato il fatto che per il nostro settore si sia utilizzato lo strumento dell’Ismea, che dipende direttamente dal ministero dell’Agricoltura. Ma la dotazione è ancora oggi insufficiente e stiamo lavorando con il governo perché nel decreto Rilancio le risorse vengano implementate.

Voi avete avanzato richieste specifiche?

Sì, soprattutto a favore dei comparti più colpiti: florovivaismo, pesca, agriturismi, settore vitivinicolo. Ma nelle ultime settimane la situazione è precipitata anche nella zootecnica e nell’ortofrutticolo. Ci auguriamo che arrivino quelle risposte che aspettiamo dalla fine di marzo.

Oltre a corridoi verdi e voucher, quali sono le misure più urgenti?

Il segnale più confortante sarebbe quello di cancellare, non sospendere, per il 2020 tutti gli oneri contributivi. Poi, servirebbe il rafforzamento delle garanzie per consentire alle banche di mettere in atto misure specifiche per il nostro comparto. In terzo luogo, un dialogo più stretto con l’Europa.     

A proposito della Ue, che aiuti stanno arrivando all’agricoltura italiana?

Purtroppo, ci sentiamo presi in giro. La proposta avanzata, valida per tutti i settori agricoli di tutti gli Stati membri, prevede uno stanziamento complessivo di 80 milioni. Non basterebbero a un singolo Stato, figuriamoci a 27 paesi… L’Europa dovrebbe mettere a disposizione ben altri fondi.

Una proiezione Coldiretti ha stimato in aumento, a quota 700mila, il numero di ragazzi fino a 15 anni che hanno bisogno di aiuto alimentare, per bere il latte o per mangiare, a causa dell’aggravarsi della crisi tra le famiglie e la chiusura delle mense scolastiche. Secondo lei, che catastrofe economica e sociale ci attende?  

Basti pensare che l’anno scorso la stessa proiezione parlava di 450mila minori a rischio alimentare. Il dato di quest’anno è nettamente più drammatico, anche se ci sono paesi, e questo è un elemento di ulteriore preoccupazione, che stanno peggio di noi.

Per esempio?

La Gran Bretagna, dove i ragazzi under 15 in difficoltà per il cibo sono addirittura un milione e mezzo. E se i nostri numeri non sono ai livelli inglesi, il merito va alla rete di solidarietà – dal Banco alimentare alla Caritas e a tantissimi altri – che da sempre si occupa di mettere a disposizione il cibo a chi non può permetterselo. Anche noi come Coldiretti abbiamo effettuato donazioni di alimenti. Comunque il dato dei minori a rischio fame testimonia il veloce impoverimento del nostro tessuto sociale.

(Marco Biscella)

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