Mentre la Banca centrale europea, nel suo bollettino economico diffuso ieri, ha evidenziato come la contrazione del Pil nel primo trimestre dell’anno sia “senza precedenti”, ma che l’effetto della pandemia “sarà probabilmente persino più grave nel secondo trimestre”, nel nostro Paese si cominciano a fare i conti sugli effetti del decreto rilancio, arrivato con quasi un mese di ritardo rispetto a quanto inizialmente annunciato. “Tutto questo tempo è stato impiegato anche per una quadratura del cerchio politico – evidenzia Guido Gentili, editorialista del Sole 24 Ore -. Sappiamo infatti che c’erano, e permangono tuttora, delle differenze di impostazione sui temi di politica economica all’interno della maggioranza. Conte ha mediato in tutti questi giorni per far quadrare il cerchio. Detto questo, è stato messo l’accento sul fatto che il decreto vale 55 miliardi, praticamente come due leggi finanziarie, tutti a deficit. È scomodo dirlo, ma non possiamo dimenticare che affronteremo il futuro, che non sappiamo come sarà, con ancora più debito pubblico sulle spalle”.
Il Patto di stabilità e crescita è stato però sospeso.
È vero, e quindi oggi non dobbiamo preoccuparci più di tanto del livello del debito, ma ci è già stato sommessamente ricordato dalla Commissione europea che arriverà un momento in cui si rientrerà in un percorso dettato dalle regole. Certo, Gentiloni ha spiegato che non sarà perché due Paesi escono dalla crisi che si riattiverà il Patto di stabilità e crescita, che pure potrà essere rivisto, ma dobbiamo porci il problema del percorso di rientro.
Questo decreto, con questi 55 miliardi, risponde alle esigenze che le imprese hanno manifestato in queste settimane?
Rispetto al mondo delle imprese c’è stato un cambio in corsa, perché fino a qualche giorno fa il decreto teneva in scarsa considerazione le loro esigenze. Si è quindi cercato di ricucire il rapporto, anche con la nuova presidenza designata di Confindustria. Per questo motivo sono entrate in campo delle misure, come la sospensione del pagamento dell’Irap a giugno o gli stanziamenti a fondo perduto sotto i 5 milioni di fatturato, che danno un minimo sostegno alle imprese. Certo è che il fatto che sia “abbuonato” l’acconto non significa che l’Irap venga cancellata o che si intraprenda un percorso di riduzione strutturale della tassazione sulle imprese, che, come sappiamo, in Italia è particolarmente elevata rispetto agli altri Paesi.
A questo proposito, il decreto è stato definito dal mondo imprenditoriale come una “boccata d’ossigeno”, ma non c’è il rischio che, visto anche il peggioramento del Pil e quindi dei saldi di finanza pubblica, alla fine dell’anno, quando sarà varata la nuova manovra, non ci sia spazio per misure anti-cicliche che cerchino di assecondare un rimbalzo dell’economia nel 2021?
In effetti, sono stati messi in campo tanti soldi – senza dimenticare che non basta stanziarli, ma, come si è visto con il decreto liquidità, bisogna fare in modo che arrivino laddove si immagina debbano arrivare -, ma continua a mancare un’idea di crescita per questo Paese. Si pensa a proteggere, giustamente, i lavoratori, il loro reddito, ma si tratta di sostegni e sussidi a pioggia che rispondono più che altro all’esigenza di far quadrare i conti all’interno della maggioranza e che non assomigliano a una scelta su dove andare in termini di crescita. Non dobbiamo poi dimenticare una cosa.
Quale?
Prima del Covid-19, stando ai dati aggiornati al 31 dicembre 2019, l’Italia era a crescita zero, mentre tutti gli altri Paesi europei erano in positivo. Partivamo quindi già con il piede sbagliato e con una prospettiva per quest’anno dell’ennesimo zero virgola. Arrivato il Covid-19, la situazione si è aggravata, e nelle ultime settimane i dati sulla produzione industriale – il -28,4% di marzo contro il -16,2% della Francia e il -9,2% della Germania – mostrano il persistere di questa differenza di prospettiva di crescita: noi cadiamo di più nei momenti di crisi e cresciamo di meno nei momenti in cui ci si riprende. Non vedo ancora un progetto di crescita duratura, un orizzonte che possa dare fiducia alle persone. Pensiamo all’occupazione: un conto è sostenere con i sussidi i redditi in questo momento, ma mi sembra che non ci sia un’idea su come allargare la base occupazionale. Per tornare alla domanda iniziale, certamente siamo in una situazione di emergenza assoluta, ma il tema tra qualche mese si riproporrà. Per esempio, quando si arriverà alla fine del rinvio delle scadenze fiscali.
Dopo la crisi del 2011-12, l’Italia si è ritrovata con un terzo di tessuto produttivo, e quindi di possibilità di crescita, in meno. Pensa che si potrebbe ripetere una situazione simile?
Forse è presto per dare un’indicazione precisa, anche perché stiamo parlando di uno shock violento in un arco temporale ristretto. Certo è che le incertezze sulla riapertura, le prospettive internazionali e altri fatti che vediamo, come la Germania pronta a riaprire i confini per turismo con Francia e Austria, con quest’ultima che non li riapre con l’Italia, fanno sì che il colpo sia molto forte e riassorbirlo, per un Paese come il nostro che parte svantaggiato rispetto agli altri, sarà molto difficile.
All’inizio ha ricordato che i ritardi nell’approvazione del decreto sono stati dovuti anche alla necessità di ripianare divergenze nella maggioranza. Quando potrà durare questa tregua?
Credo che di fatto la verifica di governo che era stata annunciata alla fine dell’anno scorso e mai partita realmente all’inizio del 2020, anche perché poi è arrivato il Covid-19, nei fatti avviene ormai quasi quotidianamente, nel senso che adesso si è riusciti a varare il decreto rilancio, ma non escludo che per il prossimo provvedimento, che dovrebbe riguardare la semplificazione per facilitare gli investimenti, su cui già si sa che ci sono sensibilità diverse all’interno della maggioranza, questa verifica continuerà, visibile e sotto traccia, ogni giorno, perché affioreranno i distinguo, in un quadro in cui rimangono le tensioni tra i diversi partiti, che potrebbero anche trovare sfogo nelle votazioni parlamentari.
Sono tensioni che quasi paradossalmente sembra continuino a tenere insieme la maggioranza…
A costo però di una mediazione continua, che è basata sul metodo dell’intervento di sostegno a pioggia. Perché questo è l’unico modo di mediare anche ai fini di consenso elettorale. Ciò ha anche un prezzo molto alto, perché questo metodo va sempre tenuto in piedi e vivo, altrimenti al successivo ostacolo si rischia di cadere.
Insomma, serve la “cassa”.
Infatti, l’uso della cassa ha portato per ora il deficit al 10% del Pil e il debito/Pil al 160%. Quanto può durare un sistema del genere?
Qualcuno ci verrà a chiedere il conto prima o poi.
Potrebbe essere l’Europa, con tutte le cautele del caso, perché nessuno vuole creare tensioni in un momento del genere, ma in prospettiva c’è da far rientrare il debito, perché questo siamo chiamati a fare, anche perché non potremmo reggere la pressione dei mercati in una situazione in cui dovessimo precipitare di downgrade in downgrade da parte delle agenzie di rating. E a proposito di Europa sarà interessante vedere cosa accadrà se il Parlamento sarà chiamato a votare il ricorso al Mes, visto che nella maggioranza ci sono visioni diverse sul tema.
(Lorenzo Torrisi)