Ore decisive per il varo del decreto ex-aprile e adesso, stagionato, maneggiato, limato, sofferto, combattuto, sfinito, divenuto “Decreto Rilancio”. Al suo interno (circa 450 pagine) sarebbe contemplato, secondo le anticipazioni, un capitolo dedicato a turismo e cultura, più precisamente gli articoli 183 e 184 “Misure per il turismo e la cultura”.
Ecco, in estrema sintesi, di cosa si tratta.
Bonus vacanze – Per il 2020 è riconosciuto un credito in favore dei nuclei familiari con un reddito Isee non superiore a 35.000 per il pagamento dei servizi offerti in ambito nazionale dalle imprese turistico ricettive. Il credito è utilizzabile dal 1° luglio al 31 dicembre 2020, da un solo componente per nucleo familiare nella misura di 500 euro per ogni nucleo familiare (300 euro per i nuclei familiari composti da due persone e di 150 euro per quelli composti da una sola persona). Il credito sarebbe fruibile nella misura del 90% in forma di sconto sul corrispettivo dovuto, anticipato dai fornitori presso i quali la spesa è stata sostenuta, e per il 10% come detrazione di imposta in sede di dichiarazione dei redditi da parte dell’avente diritto.
Promozione – Per favorire la ripresa dei flussi turistici in ambito nazionale, è istituito il “Fondo per la promozione”: un decreto ministeriale determinerà i soggetti destinatari delle risorse e le modalità di assegnazione. È prevista una dotazione di 30 milioni di euro per il 2020.
I fondi – All’articolo successivo, il 184, viene istituito un fondo con una dotazione di 50 milioni di euro per l’anno 2020, finalizzato alla sottoscrizione di quote o azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio e fondi di investimento, gestiti da società di gestione del risparmio, in funzione di acquisto e valorizzazione di immobili destinati ad attività turistico-ricettive.
È previsto poi un altro fondo, con una dotazione di 50 milioni per il 2020, per la concessione di contributi in favore delle imprese turistico ricettive, delle aziende termali e degli stabilimenti balneari, quale concorso nelle spese di sanificazione degli ambienti e degli strumenti di lavoro e di adeguamento degli spazi conseguente alle misure di contenimento contro la diffusione del Covid-19.
Queste – salvo modifiche dell’ultimo minuto – le misure previste dal Decreto Rilancio a favore del turismo, settore che vale il 13% del Pil nazionale, circa 230 miliardi (MILIARDI) di euro. Allora, vale la pena fare due conti. Se si tralascia il bonus vacanze (ma immaginiamo quale vacanza si potrà concedere il turista single con 150 euro, o la famiglia numerosa, padre, madre e magari tre o quattro figli, con 500 euro, parte dei quali in detrazione d’imposta…), restano i 30 milioni per la promozione e i 100 per i due fondi, uno di carattere finanziario, l’altro di sostegno alla sanificazione delle strutture. Totale: 130 milioni. Ma davvero?! Non saranno troppi? Il settore sarà in grado di gestire tutta questa pioggia di provvidenze?
È davvero incredibile come, ancora una volta, stia passando l’idea che il turismo sia una rendita di posizione, possa vivere di una vita propria anche in situazioni imposte da problemi comuni ma estranei, sappia rinascere spinto esclusivamente dalla fame di vacanze implicita nel dna degli italiani. E dire che tutti sembrano convinti nel dire, contriti, che è proprio il turismo il settore destinato a pagare più di tutti gli altri gli effetti della pandemia. Tanto convinti che in un decreto da 55 miliardi (più di un’intera manovra fiscale) al turismo sono riservati solo 130 milioni, una dotazione avvilente, una via di mezzo tra un’elemosina e una distrazione.
Inutile dire che così si muore, che moltissime imprese non riusciranno a riaprire in queste condizioni, imprese tra l’altro abbandonate nell’impotenza di programmare alcunché, dalla riassunzione di stagionali alla predisposizione degli spazi, perché ancora nessuno da Roma ha saputo indicare tempistiche, modalità, salvaguardie di responsabilità. Un Decreto Rilancio che per il turismo sembra da un lato la certificazione dell’incapacità contrattuale del comparto, dall’altro il segnale della scarsa attitudine degli organi decisionali di fare quadrato in difesa di un business che, in un Paese come il nostro, è “il” business su cui puntare. E attorno al quale varrebbe invece la pena di erigere barriere di difesa, come la mai troppo applicata Golden share, per evitare che preziose realtà nazionali finite in sofferenza diventino prede per le speculazioni dei tempi di crisi.