Con il Decreto siccità (“Disposizioni urgenti per la prevenzione e il contrasto della siccità e per il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche”) approvato giovedì dal Consiglio dei ministri viene istituita una Cabina di regia, con il compito di inventariare entro 30 giorni problemi e soluzioni di breve periodo per far fronte alla crisi idrica.
La Cabina di regia, affidata al ministero per le Infrastrutture e presieduta per delega dal ministro Salvini, nominerà entro 10 giorni un Commissario straordinario nazionale in carica almeno fino al 31 dicembre 2023, prorogabile di un anno, per la realizzazione delle opere e l’adozione degli interventi più urgenti, il quale dispone di ampi poteri sostitutivi per casi di inerzia o dissenso che ostacolino il compimento degli interventi. Il compito della Cabina di regia, manco a dirlo è la semplificazione (mantra del momento) per sbloccare rapidamente almeno una parte dei 7,8 miliardi di euro appostati sull’ammodernamento del sistema risorse idriche. Sono risorse già disponibili, tra Pnrr, fondi europei e nazionali, ma bloccate dalla burocrazia.
Bene che il Governo Meloni scelga di intervenire su un problema ciclico che da vent’anni affligge l’Italia prima che diventi un’emergenza. Solamente tra il 2000 e 2022 l’Italia è stata colpita da 7 gravi periodi di siccità con danni complessivi per 20 miliardi di euro. Però più che con la crisi idrica, il Paese si confronta con un deficit di infrastrutture idriche. Infatti, non è affatto povero d’acqua: l’Italia è più piovosa della Germania e Milano con 1.162 mm/anno è la città più pluviosa d’Europa.
Sono alcuni dei dati che ribaltano la percezione della scarsità idrica italiana riportati dal rapporto Proger “Water Economy in Italy“ curato dalla Fondazione Earth Water Agenda. Abbiamo precipitazioni elevate oltre 300 miliardi di metri cubi, ma solo l’11% delle piogge è prelevata per gli usi contro il 40% della Spagna. Inoltre, siamo favoriti da un patrimonio idrico diversificato e di qualità. La media annua di acqua teoricamente utilizzabile è cinque volte i prelievi, ma da 10 anni gli investimenti sono al minimo, circa l’1% del bilancio pubblico, collocando l’Italia in coda in Europa.
Abbiamo acquedotti colabrodo: tra i volumi di acqua potabile prelevata e i volumi che arrivano ai rubinetti si raggiunge quasi il 40% di perdite. La capacità di invaso è praticamente uguale a quella di mezzo secolo fa, a causa di ritardi nelle procedure di collaudo tecnico-funzionale e interramento progressivo per mancato drenaggio di dighe e bacini. Non solo le necessità e i consumi sono aumentati enormemente, ma in considerazione del cambiamento climatico che intensifica lo squilibrio di precipitazioni sull’arco dei mesi la prevenzione di eventi siccitosi richiederebbe entro vent’anni, una disponibilità aggiuntiva di 9 miliardi di metri cubi. Dissalatori alimentati da fonti rinnovabili così come l’adeguamento del parco depuratori darebbero un contributo importante. Con l’acqua diventata una risorsa scarsa è sconsiderato disperdere – come avviene oggi – i 9 miliardi di metri cubi di acque reflue depurate invece di filtrarle per usi agricoli o industriali. Comparti che assieme assorbono oltre due terzi dei consumi finali.
Bene anche che la neonata cabina di regia superi l’attuale frammentazione delle competenze sulla gestione idrica spezzettate tra ministeri, regioni, comuni, autorità di bacino e gestori. Nei 16 articoli del provvedimento non si scorge, però, nessun accenno a strumenti di pianificazione a medio-lungo termine per una razionalizzazione dell’economia delle acque. A partire da una maggiore accumulazione con la ricarica gestita degli acquiferi, la riduzione delle perdite in fase di distribuzione (acquedotti e irrigazione), la “produzione” di acqua tramite dissalatori e riuso di acque reflue. Sarebbe auspicabile che oltre a concentrarsi sulle misure d’urgenza, fissando tutte le possibili deroghe a molte disposizioni di legge per consentire al Commissario straordinario nazionale e ai possibili singoli commissari ad acta per superare ostacoli e stalli burocratiche, il Governo si ponga come priorità quella della governance della pianificazione dei prossimi dieci anni di investimenti. Un piano che, secondo il suddetto Rapporto richiede circa 55 miliardi di euro di cui il 60% coperto da fondi pubblici e il rimanente da investimenti privati ripagati da tariffa.
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