Sul Decreto Trasparenza (DLgs 27 giugno 2022 n. 104) da queste pagine abbiamo già denunciato la complicazione anziché la semplificazione delle norme che dovrebbero attenuare il ricorso al cd “lavoro nero”, ma qui ci preme sottolineare la farraginosità delle nuove norme per la redazione dei contratti, tutte a carico del datore di lavoro.



Sappiamo bene che l’intera disciplina è oggetto costante e ricorrente di indicazioni interpretative di fonte istituzionale, rifacendosi alla Direttiva Ue 2019/1152 che aveva lo scopo di promuovere un’occupazione più trasparente chiedendo di applicare da parte degli Stati sanzioni dissuasive. E così in Italia ben tre anni dopo si arriva ad applicare la delega della norma recepita nel giugno del 2022 rivisitando tutta la normativa fin qui attuata. Abbiamo così vissuto un disallineamento temporale fra l’entrata in vigore della normativa ,il 13 agosto us, e la già dichiarata attivazione dei contratti partita il 1 agosto, che cosi obbliga il datore di lavoro a estendere retroattivamente la platea delle persone contrattualizzate rispetto all’informativa prevista dalla legge.



Ci sono poi le lavoratrici e i lavoratori autonomi che sono esclusi dall’obbligo di essere informati, ma non i cococo, gli occasionali, gli eterodiretti che rientrano nell’obbligo (definiti contratti non standard). Poi c’è la fattispecie di obbligo di informazione minima che si deve assolvere sempre da parte del datore di lavoro attraverso copia di comunicazione obbligatoria che però ha una specifica modalità: deve duplicare i dati inseriti nella piattaforma Inps, come per i lavoratori domestici con denuncia e copia contratto. Sta di fatto che l’interpretazione è complicatissima poiché quando, solo per fare un esempio, si definiscono i contratti non standard le circolari dell’Ispettorato del lavoro a ridosso del 13 agosto, cioè il 10 agosto, ridefiniscono le varie compatibilità per i vari contratti con informazioni di base e informazioni ordinarie senza tener conto però che per il lavoro non standard non esiste un livello, un inquadramento una qualifica. Poi c’è stata l’informativa per i contratti già stipulati, poi per i nuovi contratti e soprattutto è scomparsa per 24 ore nella circolare la possibilità di rinvio al Contratto collettivo di lavoro per alcune informazioni poi recuperata da un’indicazione dell’Ispettorato del lavoro che riaffibbia ai Contratti collettivi l’elencazione di dettaglio del rapporto di lavoro e le modifiche informative intervenute per escludere pesantissime sanzioni.



Insomma, noi legittimamente ci chiediamo, soprattutto oggi che si insedia il nuovo ministro del Lavoro Calderone, già Presidente dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, se riterrà corretto riaffermare, in uno sforzo di distanziamento dalla sua recente carica ovviamente incompatibile con l’incarico di Ministro, questa perversa farraginosità della legge 104 appunto che ovviamente ha messo i datori di lavoro e dunque il sistema aziendale nell’obbligo di rivolgersi per districarsi dalla norma, ai consulenti del lavoro.

Infatti, la legge estiva rivoluziona tutto il contratto: diritti del lavoratore e modalità per il loro esercizio, committente, onere probatorio, coordinamento della nuova disciplina con la normativa sulla privacy, licenziamento, ecc. Ricordo che la legge 104 non ha tenuto in debita considerazione le raccomandazioni della Direttiva Ue che esplicitamente diceva che si doveva valutare l’impatto delle sanzioni durissime indifferenziate “per accertarsi che le piccole e medie imprese non siano eccessivamente colpite”.A mio parere non solo sono state clamorosamente disattese, ma si persegue l’idea nefasta di disincentivare l’occupazione, e di gravare sia il datore di lavoro che il dipendente di obblighi burocratici: l’informazione compulsiva e barocca non crea tutela e certamente crea disagio alle imprese e dà occupazione solo ai consulenti del lavoro retribuendo obtorto collo il loro contributo.

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