Nella conferenza stampa seguita mercoledì all’approvazione del Def da parte del Consiglio dei ministri, Mario Draghi ha detto che “consumatori e imprese vedono oggi un futuro meno positivo, ma faremo tutto il necessario per aiutare famiglie e imprese”. Lasciando però invariato, rispetto alla Nota di aggiornamento al Def dell’anno scorso, il rapporto deficit/Pil al 5,9%, al momento le risorse a disposizione per interventi di sostegno all’economia ammontano a 5 miliardi di euro. È del tutto evidente che da sole non bastano a garantire l’aiuto promesso dal Premier. Tuttavia, spiega Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «ci sono almeno due aspetti importanti da evidenziare riguardo i provvedimenti che si possono mettere in campo con quei 5 miliardi». 



Quali?

Il primo è a chi verrebbero destinati. In questa situazione credo che la protezione maggiore debba essere mirata alle famiglie. Il secondo aspetto è: si tratterebbe di misure una tantum o no?

Visto l’importo sembrerebbe di sì…

Personalmente credo sarebbe meglio una misura anche non molto rilevante, ma strutturale, per esempio implementando un provvedimento che va nella direzione giusta come l’assegno unico, ma che presenta delle carenze, visto che l’importo minimo previsto, 50 euro al mese per un figlio, sembra onestamente troppo basso.



E cosa si può fare invece per le imprese che devono affrontare un costo elevato dell’energia?

Mi sembra interessante la proposta di separare i prezzi dell’energia rinnovabile da quella prodotta con il gas, destinando alle imprese parte dell’energia prodotta a costi più bassi, con l’impegno delle aziende a effettuare investimenti green in modo da aumentare ulteriormente l’energia rinnovabile. Si tratterebbe di investimenti che credo non richiederebbero molto tempo per essere realizzati e che sarebbero anche coerenti con la logica del Pnrr.

Ritiene necessario nei prossimi mesi uno scostamento di bilancio?



Rispondere non è semplice e non solo perché molto dipenderà anche da un fattore altamente incerto quale la durata del conflitto in Ucraina, ma anche perché negli Stati Uniti è stato intrapreso un percorso che porterà a un continuo aumento dei tassi di interesse e questo non può non destare preoccupazioni sulla dinamica del nostro spread, che ha infatti ripreso a salire da qualche mese. Ed è chiaro che uno scostamento di bilancio potrebbe contribuire ad aumentare lo spread, con un effetto boomerang per i nostri conti pubblici.

È forse anche per questi timori sullo spread che il Governo nel Def indica che nel 2025 si tornerà (dal -2,2% di quest’anno) ad avere un avanzo primario di bilancio (+0,2%)?

I nostri vincoli di bilancio sono quelli che sono. Le risorse andrebbero in primo luogo reperite, cercando di ottenere risultati maggiori rispetto alle necessità, insistendo su uno dei temi più dibattuti nel nostro Paese: il contrasto all’evasione fiscale. D’altro canto non possiamo trascurare il fatto che il potere di contrattazione in Europa per l’Italia aumenta se ritorna ad avere un avanzo primario di bilancio. In questa fase non dobbiamo comunque precluderci la possibilità di aumentare il disavanzo, ma non per le spese correnti, bensì per gli investimenti.

Cosa pensa invece della stima sulla crescita del Pil di quest’anno: è credibile?

Direi che una crescita del 3,1% è un obiettivo ambizioso, perché il primo trimestre è ormai andato e ne restano altri tre per cercare di recuperare e fare meglio dell’anno scorso: cosa non facile. Soprattutto pensando alle conseguenze del conflitto per alcuni settori economici, come il turismo, e agli effetti dell’inflazione sui consumi.

A proposito di inflazione, nel Def si prevede che quest’anno sarà pari al 5,8%. Cosa ne pensa?

Da un lato è una buona notizia, perché vorrebbe dire che ci sarebbe uno stop della fiammata inflazionistica in corso. Dall’altro, però, non possiamo dimenticare che se anche i livelli dei prezzi dell’energia restassero stabili, cambierebbero le ragioni di scambio, ovvero la quantità di beni che noi dobbiamo scambiare con i Paesi produttori per avere una data quantità di materia prima energetica.

Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della Bce, ha evidenziato che l’aumento dei costi energetici sta di fatto portando le famiglie a tagliare i consumi di altri beni e per far fronte a questa distruzione della domanda ha auspicato “interventi monetari e fiscali coerenti tra loro”. Visti gli spazi ridotti di alcuni Paesi, come l’Italia, servirebbe uno strumento di politica fiscale europea?

Assolutamente sì. Una politica fiscale europea è auspicabile non solo perché risponderebbe a un problema contingente, ma perché introdurrebbe un elemento strutturale che manca: la politica fiscale in Europa, infatti, non c’è. È ovvio che non si può creare da un giorno all’altro, ma occorre quanto meno costruirne l’architrave, magari partendo da interventi selettivi. Credo che anche la Bce possa intervenire, direttamente o tramite l’Esma, per ridurre il costo del capitale per le imprese di alcuni settori o per aiutare le imprese alle prese con mutui che diventano più costosi.

(Lorenzo Torrisi)

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