La buona notizia è che il 2023 non sarà un anno di recessione, anche se il Fondo monetario internazionale nelle sue previsioni di primavera non è ottimista per la seconda parte dell’anno. La cattiva notizia è che gli spazi per la politica di bilancio sono ridotti al lumicino.

Il Documento di economia e finanza varato ieri dal Consiglio dei ministri dice chiaramente che il taglio dei contributi sociali per i redditi medio-bassi, da decidere in un prossimo provvedimento, sarà l’anno prossimo di appena tre miliardi di euro; verrà rinviata a data da destinarsi Quota 41 per le pensioni; la riforma fiscale passa anch’essa all’anno prossimo; la priorità verrà data di nuovo al caro bollette, anche se sono decisamente in calo.



È come se il Governo badasse soprattutto a tamponare il passato piuttosto che affrontare il futuro. Ne emerge una politica fiscale cauta e realistica, tenendo conto che l’indebitamento netto tendenziale è 4,35% a fronte di un obiettivo del 4,5%. Quindi lo spazio per confermare l’obiettivo finale è pari a pochi decimi di punto. Il deficit dovrebbe scendere di poco, al 3,7% l’anno prossimo quando tornerà il limite del 3%, sia pure da attuare in modo flessibile. Come e quanto flessibile è oggetto di trattative con la Germania che chiede ai Paesi fortemente indebitati, a cominciare dall’Italia, un taglio di almeno un punto; se così fosse c’è da chiedersi come il Governo potrà realizzare la riforma fiscale. Delle due cose l’una: se il peso delle imposte resta lo stesso (la pressione fiscale è pari al 43,3% del Pil quest’anno e si prevede che scenda appena al 42,7% entro il 2026), allora è inutile darsi tanto da fare, se deve calare come sarebbe necessario, bisognerà trovare un bel pacco di miliardi e allo stato attuale non si vede in che modo.



Ma vediamo un po’ di cifre. Secondo il Def, il Prodotto interno lordo quest’anno crescerà dell’1% su base programmatica e dell’1,5% nel 2024. Il ministero dell’Economia spiega che nello scenario tendenziale il Pil è previsto crescere dello 0,9% nel 2023 e dell’1,4% nel 2024. Il Fondo monetario è più cauto: ha innalzato le previsioni da +0,6 a +0,7% e le ha abbassate dal +0,9% al +0,8% per l’anno prossimo. Grazie alla ripresa della Cina e alla tenuta degli Stati Uniti, il prodotto lordo mondiale dovrebbe aumentare quest’anno del 2,8% e il prossimo del 3%, lo 0,1% in meno di quanto previsto in precedenza. Ma “una frenata brusca è un rischio per le economie avanzate”, osserva il Fmi mettendo in evidenza come la recente instabilità delle banche “ci ricorda che la situazione resta fragile”. L’inflazione si raffredda più lentamente delle attese: i prezzi nella media mondiale scenderanno dall’8,7 al 7% e al 4,9% del 2024. Nell’area euro passano dall’8,4% al 5,3% per arrivare a +2,9% nel 2024, oltre l’obiettivo del 2%. In Italia 4,5% e 2,6%, meglio della media. Negli Stati Uniti, invece, si va dall’8% del 2022 al 4,5% di quest’anno e al 2,3% del prossimo.



Preoccupa l’inflazione di fondo, calcolata senza l’energia e i beni alimentari, attorno al 5,1%, segno che la pressione della domanda ha sostituito la spinta dell’energia e delle materie prime. Ciò induce le banche centrali a mantenere tassi d’interesse elevati. Il costo del denaro resta ancora inferiore al tasso d’inflazione e questo giustifica ulteriori rialzi, secondo la Bce. Un brutto segnale per l’Italia che vedrà crescere il costo del debito.

Il rapporto debito/Pil nel 2022 è risultato pari al 144,4%, 1,3 punti percentuali inferiore rispetto alla previsione; tuttavia sarebbe stato inferiore senza l’impatto devastante del superbonus. L’obiettivo è che scenda progressivamente fino a raggiungere il 140,4% nel 2026.

Il tasso di disoccupazione non è tra i peggiori della zona euro, ma resta superiore all’8%. Una doccia fredda cade sui pensionati. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è stato sincero sui costi del provvedimento voluto dal capo del suo partito Matteo Salvini, e se le cose stanno così si andrà alla proroga di quota 103 anche l’anno prossimo. Ciò vuol dire che il Governo, con una congiuntura in rallentamento, sarà costretto ad affrontare provvedimenti molto pesanti. Secondo le stime dell’Inps, Quota 41 costerebbe 75 miliardi di euro in dieci anni. Il capogruppo della Lega alla Camera si aspettava di più, ma “con pochi miliardi Quota 41 non si fa, questo è chiaro. Ma non ci accontentiamo di una proroga”.

Non c’era da attendersi molto dal Def e senza dubbio un bagno di realtà è sempre benefico. Tuttavia, il Governo si trova privo di risorse per realizzare almeno una piccola parte del suo ambizioso programma. “Il Def tiene conto di un quadro economico-finanziario che rimane incerto e rischioso a causa della guerra in Ucraina, di tensioni geopolitiche elevate, del rialzo dei tassi di interesse ma anche per l’affiorare di localizzate crisi nel sistema bancario e finanziario internazionale. In questo contesto, l’economia italiana continua a mostrare una notevole dose di resilienza e vitalità”, si legge nel documento. Per quanto ancora nessuno è in grado di dirlo.

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