Nel Consiglio dei ministri di ieri il Governo ha approvato il Def, il Documento di economia e finanza per il prossimo anno, presentando nuove stime per l’economia italiana. Quella relativa alla crescita del Pil per l’anno corrente è stata rivista al ribasso e fissata all’1% contro l’1,2% previsto lo scorso autunno nella Nadef, la Nota di aggiornamento al Def di un anno fa. Rispetto alle precedenti edizioni, che anticipavano le linee di politica economica alla quali i differenti Governi intendevano attenersi nel definire le manovre autunnali di finanza pubblica, il nuovo Def, concordato con l’Unione Europea, indica invece solo il quadro tendenziale, quello che si verificherebbe in base al quadro economico previsto e con l’applicazione di politiche invarianti rispetto a quelle in essere.
La scelta di non indicare già le politiche, e dunque le correzioni che esse determinerebbero allo scenario tendenziale, appare in realtà una necessità derivante dal cambiamento in corso delle regole fiscali europee e dalla sinora incompleta definizione delle nuove procedure. Entro il 20 settembre i Governi nazionali dovranno infatti presentare alla Commissione europea una nuova tipologia di documento, il Piano fiscale strutturale di medio termine, del quale tuttavia non sono ancora definite le modalità operative con cui dovrà essere strutturato.
In assenza dell’indicazione di politiche correttive lo scenario tendenziale non può che rimarcare la crescita nel rapporto debito/Pil, dal 137,8% di quest’anno al 138,9% del 2025 e al 139,8% del 2026, in ogni caso restando sempre al di sotto della cifra netta del 140% che aveva oltrepassato in epoca Covid. Non si tratta tuttavia di un’inversione di tendenza rispetto alla discesa degli ultimi anni in quanto essa era stata ottenuta a seguito delle politiche adottate e non solo delle tendenze spontanee dei mercati, come si verifica ora in via solo ipotetica nel nuovo Def. La stessa avvertenza vale se il confronto lo facciamo con lo scenario indicato nella Nadef dello scorso autunno, nella quale il debito calava, anche se lievemente, dal 140,1% del 2024 al 139,9% del 2025 e al 139,6% del 2026. Ma questi numeri sono stati spodestati dal calo effettivo del 2023, assai più robusto del previsto e che ha portato il dato reale al 137,8%, grazie principalmente al ruolo svolto dal deflatore del Pil il quale, cresciuto più del previsto sull’onda lunga dell’inflazione, ha avuto l’effetto di gonfiare il valore nominale del Pil che noi mettiamo al denominatore del rapporto.
In sostanza il rapporto attuale è più basso di quanto si prevedesse da qui a diversi anni, ma continuare a ottenerne un proseguimento sullo stesso sentiero di riduzione sin qui seguito si rivelerà difficile per l’effetto di diversi fattori:
– una crescita economica debole e incerta, conseguenza dell’eccesso di politiche restrittive della Bce di cui non sappiamo con esattezza quando inizieranno a essere ridimensionate e con quale velocità verrà fatto;
– l’enorme voragine sulla finanza pubblica prodotta dal Superbonus e che continua ad allargarsi mese dopo mese; qui sarà fondamentale proseguire l’opera di verifica della bontà dei crediti fiscali da esso generati che, come ha dichiarato il ministro Giorgetti, “ha già portato, ad oggi, a circa 16 miliardi di crediti annullati e sequestrati a vario titolo… Questa operazione di verifica circa la bontà di tutti questi crediti vantati, o dichiarati tali, presso lo Stato continuerà e credo sia una delle parti più importanti dell’operazione di accertamento e di verifiche fiscali che dobbiamo fare quest’anno”;
– l’esigenza di riconfermare, e dunque rifinanziare, la decontribuzione degli oneri sociali che ha ridotto il cuneo fiscale ma che è in scadenza alla fine di quest’anno e che il Governo ritiene prioritario mantenere.
Molto lavoro sulla finanza pubblica è dunque previsto da qui all’autunno, considerando che la scadenza del nuovo Def richiesto dalle regole comunitarie è fissata al 20 settembre, ma che il Governo intende presentare anche prima, quando sarà pienamente definito in sede europea il percorso tecnico della sua elaborazione, al momento indicato per la metà del mese giugno. Nel frattempo il monitoraggio dei costi del Superbonus e i controlli sui beneficiari appaiono il principale fronte sul quale sarà necessario difendere la finanza pubblica, trattandosi del principale pericolo che si trova di fronte.
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