Il Consiglio dei ministri ha approvato ieri il Documento di economia e finanza (Def), scegliendo di omettere il quadro programmatico. Da palazzo Chigi è stato spiegato che questa impostazione è dovuta al cambiamento delle “regole di programmazione economica” collegate al nuovo Patto di stabilità e crescita. Entro il 20 settembre verrà presentato alla Commissione europea un Piano fiscale strutturale, per il quale mancano ancora le indicazioni operative: solo allora verranno messi nero su bianco gli impegni sui conti pubblici e i provvedimenti che l’Esecutivo intende adottare. Il Def contiene in ogni caso dei numeri, quelli relativi al quadro tendenziale, secondo cui il Pil crescerà quest’anno dell’1% (contro il +1,2% stimato a fine 2023) e dell’1,2% nel 2025. Il deficit viene visto al 4,3% del Pil (in linea con le precedenti previsioni) per scendere poi al 3,7% l’anno prossimo e al 3% nel 2026, mentre il debito/Pil salirà al 137,8% (dal 137,3% del 2023) per scendere solo nel 2027. Abbiamo chiesto un commento a Domenico Lombardi, economista, direttore del Policy Observatory della Luiss ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale.



Partiamo anzitutto dalle previsioni indicate nel Def. Sembrano ottimistiche, specie sul Pil, visto che Banca d’Italia e Commissione europea prevedono per quest’anno rispettivamente una crescita dello 0,6 e dello 0,7%…

Ci sono almeno due elementi da notare. Il primo è che la crescita prevista eccede il consenso: alcune previsioni, in particolare, situano la crescita per l’anno in corso al di sotto di quella prevista da Banca d’Italia e Commissione, vicino allo 0,4% – in ogni caso, appaiono tutte distanti dall’1%. Infine, le proiezioni del rapporto debito/Pil non sono monotoniche: in altre parole, il rapporto si assesta, con minime fluttuazioni, poco sotto il 140% nel triennio in esame, senza che vi sia una dinamica chiaramente discendente.



Il Def di fatto è stato approvato con il quadro tendenziale. Cosa ne pensa?

In effetti, si contano due precedenti nella storia recente: i Governi Gentiloni e Draghi, ed entrambi da dimissionari. Tuttavia, non enfatizzerei tanto questo aspetto quanto piuttosto altre dimensioni.

Quali?

Affinché la politica economica dispieghi appieno il suo effetto occorre quanto più possibile ridurre l’incertezza intorno alla sua azione. In tal senso, l’approccio prescelto non opera in quella direzione poiché risulta difficile capire se le misure già assunte saranno confermate. Si pensi, ad esempio, alla riduzione del cuneo fiscale per i redditi medio bassi, oppure la decontribuzione per lavoratrici madri.



Da parte italiana sono state tirate in ballo anche le nuove regole del Patto di stabilità per spiegare un Def così “anomalo”. Cosa ne pensa? Davvero non danno certezze su quello che occorre fare sui conti pubblici?

Anche questo fa parte del contesto abbastanza unico in cui si trova a operare questo Governo. Il Patto è stato riformato e sarà la nuova Commissione a validare il piano di aggiustamento fiscale pluriennale che l’Italia proporrà. È un fatto.

L’Italia, per stessa ammissione del ministro dell’Economia sarà destinatario di una procedura di infrazione, il Def viene presentato senza quadro programmatico: non dobbiamo aspettarci nessuna ripercussione sui mercati?

A mio avviso, questo è l’aspetto più importante. Per un Paese ad alto debito è fondamentale costruire una relazione di fiducia con i mercati – cosa che è stata fatta come prova lo spread compresso su livelli particolarmente bassi. Tuttavia, tale fiducia va continuamente alimentata con azioni che confermino la postura prudenziale della nostra politica fiscale. Non abbiamo scelta…

Il Governo ha spiegato che entro il 20 settembre presenterà il Piano fiscale strutturale alla Commissione europea. Non rischia di essere una scadenza a cavallo del passaggio tra vecchia e nuova Commissione?

Quella data, a oggi, non è negoziabile. Se del caso verrà aggiornata, ma lo sarà per tutti i Paesi.

Giorgetti ha detto che “il vero obiettivo che ci poniamo quando andremo a definire il Programma strutturale” è la proroga del taglio del cuneo fiscale. Cosa ne pensa? È un provvedimento così cruciale da diventare poi di fatto il cuore della trattativa che ci sarà con Bruxelles?

Rientra nella strategia di assicurare continuità ad alcuni provvedimenti di politica economica che hanno caratterizzato la politica economica del Governo. Occorrerà, però, capire il destino di altre misure come la riforma fiscale e la semplificazione delle aliquote Irpef, tra le altre.

Il ministro dell’Economia lunedì ha detto che occorrerebbe rivedere la scadenza Pnrr (2026), ma Gentiloni ha ribadito che “è fissa”. Cosa ne pensa?

Il ministro Giorgetti ha posto l’attenzione sulla qualità dell’implementazione, cosa su cui nessuno con un po’ di buon senso dovrebbe trovarsi in disaccordo. È chiaro che l’Italia ha avuto da sempre una difficoltà cronica nell’assorbimenti dei fondi europei. Dovremmo piuttosto preoccuparci che le opere pubbliche vengano effettivamente eseguite con i più elevati standard, anche se un po’ in ritardo. Alla fine, ciò che rileva è che i soldi nostri e quelli europei siano ben spesi.

Ieri sono stati anche diffusi i dati della Bank Lending Survey della Bce e giovedì si terrà la riunione del Consiglio direttivo. Cosa dobbiamo aspettarci?

La riunione di giovedì non è importante per l’esito che appare già scontato: non ci sarà prevedibilmente alcuna variazione dei tassi di intervento. Tuttavia, tale riunione precede quella di giugno quando dovrebbe cominciare il ciclo di riduzione dei tassi. Pertanto, dalla discussione di giovedì dovrebbero emergere segnali rilevanti circa la futura traiettoria della politica monetaria. A oggi, le condizioni restrittive della politica monetaria si sono trasmesse con efficacia all’economia reale come attesta l’ultima survey condotta dall’Eurosistema. Proprio per questo, è necessaria una correzione di rotta per evitare che le restrizioni monetarie, pur necessarie per stabilizzare le aspettative di inflazione, compromettano le già esili prospettive economiche dell’Eurozona.

(Lorenzo Torrisi)

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