Bisogna essere onesti. Sinceri. Questa volta i detrattori del Paese Italia avranno sicuramente sorriso e, almeno per ora, posticipato i festeggiamenti. Non troppo in là nel tempo. Purtroppo.

Nelle scorse giornate si è fatta luce sul futuro dei conti pubblici della nostra penisola attraverso la pubblicazione del consueto Documento di economia e finanza (Def). Rispetto alle precedenti e più tradizionali versioni, il documento 2024 si è mostrato in una veste diversa. Infatti, come riportato sul sito del ministero dell’Economia e delle Finanza, lo stesso Ministro Giorgetti «ha ricordato che non è la prima volta che il Def ha solo le stime tendenziali. Ci sono ben quattro precedenti e, anche in ambito europeo, l’Italia non sarà l’unico Paese a presentare un Def semplificato proprio per la natura di transizione delle nuove regole europee che entreranno in vigore dal 1 gennaio 2025». Nonostante il chiarimento a questa realease adottata possiamo, comunque, immaginare la mancata soddisfazione dei più attenti e scrupolosi osservatori (detrattori) che, non convinti, avranno immediatamente formulato dietrologie di prima mano. Prescindendo dal voler male a ogni costo, i dati più significativi sono stati svelati.



Tra le moltissime cifre e i vari rapporti presenti, quello da noi più atteso ha immediatamente caratterizzato le parole del ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti nel corso di una conferenza stampa: «Il debito pubblico in risalita previsto dal Def è pesantemente condizionato dai riflessi per cassa del Superbonus nei prossimi anni, ma dopo il 2026 comincerebbe a scendere». È sempre quello. È sempre lo stesso problema. È sempre la gioia di tutti coloro che vedono solo ed esclusivamente il più facile dei segni meno nel bilancio del Belpaese. Il debito che, certamente tale è, ma, “pubblico” ovvero: di tutti noi.



Piccola nota a margine. Di quanto si sta parlando? Ecco, in cifre, quello che avrà fatto sorridere i sopracitati detrattori: «Def, debito oltre 3.000 miliardi di euro nel 2025». Questo il titolo battuto dall’agenzia Ansa alle ore 16:51 di mercoledì. Ebbene sì: saranno 3.000 miliardi. Un traguardo spaventoso che, se oggi si caratterizza per il suo “solo” ammontare, con il trascorrere dei mesi, riscontrerà una maggiore attenzione ed enfasi mediante le già prevedibili grida sui media nazionali (e non solo) in merito al raggiungimento della cifra monstre.

Oggettivamente, tale traguardo era inevitabile e saremmo ipocriti nel dimenticare quello che noi stessi >avevamo puntualmente osservato oltre sei mesi fa: «Quel citato debito pubblico, ormai, non fa più clamore per il suo mastodontico ammontare: la quota record degli oltre 2.848 miliardi riportata ad agosto da Banca d’Italia appare proiettata inevitabilmente in direzione di una prossima e malaugurata soglia psicologica pari a 3.000. Si possono già immaginare le prime pagine dei giornali con un titolo sicuramente accattivante, ma, questo “brutto momento”, adesso, è ancora lontano». Non solo, dopo questa nefasta premonizione, anche agli inizi di quest’anno avevamo sottolineato la possibilità di un ulteriore allungo della quota di debito e, infatti, a gennaio, su queste pagine si leggeva: «Ora, possiamo ritornare alla normalità di tutti i giorni, con il nostro debito pubblico alle stelle e prossimo a un ennesimo record, ma, con potenziali acquirenti pronti a sostenerlo».



Assodato che di debito si sta parlando e che certamente se ne parlerà ancora è, inoltre, doveroso portare all’attenzione di tutti le prime e più correlate conseguenze di tale situazione. Mano al Def 2024, sfogliando le numerose pagine, si giunge al Focus “Spesa per interessi e sensitività ai tassi di interesse“: «La spesa per interessi di tutte le Amministrazioni Pubbliche (AP) calcolata in base al criterio di competenza economica secondo il SEC 2010, di cui gli interessi passivi sui titoli di Stato rappresentano più dell’88,0 per cento, nel 2023 è stata pari a circa 79 miliardi, in riduzione di circa 4 miliardi rispetto al dato registrato nel 2022; il costo medio del debito è passato dal 3,09 per cento del 2022 al 2,85 per cento del 2023. In termini di percentuale sul PIL la spesa per interessi delle AP è risultata pari al 3,8 per cento nel 2023, scendendo dal 4,2 per cento del 2022. Invece, il costo medio all’emissione dei titoli di Stato è cresciuto dall’1,7 per cento del 2022 al 3,8 per cento del 2023, risentendo dei marcati rialzi nei tassi di riferimento della politica monetaria».

Da questo sintetico e chiaro riscontro appare evidente la dinamica che caratterizzerà la nostra futura e ormai imminente spesa pubblica alla voce “Interessi passivi”: un incremento costante già a partire dall’anno in corso fino a un livello maggiormente significativo se traguardato al lontano 2027. Altro, ennesimo, debito su debito. C’è molta amarezza ad ammetterlo come, purtroppo, fa ancora più male assistere a questo tipo di Italia. Perché l’Italia non è (solo) questo. L’Italia e il suo debito pubblico. Al pari di un rompicampo difficile da affrontare e ostico da gestire con, potenzialmente, una nascosta (non troppo) impossibile soluzione. Il tutto in bella mostra agli occhi dei più sensibili cittadini che, inermi, abdicano al mai scomparso e redivivo gruppo di detrattori.

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