Ha destato una certa attenzione e preoccupazione l’aggiornamento delle previsioni della Commissione europea per l’anno in corso: nel 2020 il Pil dell’Italia crescerebbe solamente dello 0,3% e sarebbe il tasso di crescita più basso di tutti i 27 Paesi dell’Unione europea. Il ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri si è affrettato a dire che si tratta un “effetto di trascinamento” dell’anno scorso: in effetti, nell’ultimo trimestre 2019 il Pil ha segnato un saggio negativo di crescita dello 0,3%. Gualtieri ha aggiunto di essere certo che nel primo trimestre 2020 ci sarà un “rimbalzo tecnico” che darà il tono al resto dell’anno.



Il quadro è, invece, ancora più inquietante: le stime della Commissione, anche se pubblicate il 13 febbraio, risalgono a qualche settimana fa, a prima cioè che si tenesse conto dei più recenti sviluppi internazionali e dei loro effetti sull’economia europea e italiana. Più recenti, le stime del Centro Studi Confindustria. “A inizio 2020 – scrivono i tecnici di Confindustria – persiste una sostanziale stagnazione, che segue la flessione di fine 2019. Dopo il tonfo della produzione a dicembre, l’industria inizia l’anno ancora debole ma con segnali di stabilizzazione”. Insomma, Confindustria certifica una partenza in sordina.



Ad avvalorare questa tesi il fatto che il tradizionale polmone dell’economia italiana, l’export, è in crisi ben prima che si manifestasse il coronavirus. Le vendite all’estero infatti “hanno registrato dati negativi a novembre-dicembre anche se resta su un trend espansivo: sia le vendite extra-Ue (+1,8% nel quarto trimestre) sia, molto meno, quelle intra-Ue”.

Molto verosimilmente, le stesse stime di Confindustria sono ottimistiche. Lo si avverte parlando con banchieri e specialisti industriali a Francoforte dove si intravede un rischio di recessione in tutta l’Unione europea. Attenzione, le previsioni della Commissione europea stimano per la Germania una crescita dell’1,1% nel 2020. Preoccupati gli economisti dell’ufficio studi di Commerzbank. Puntano il dito su come il coronavirus abbia interrotto le consuete catene di produzione e di come sia difficile azzardare stime su quando e come si tornerà alla normalità: “Quanto più lunghi saranno i tempi necessari per rimettere in funzione le catene di produzione, tanto più probabile sarà che si scivoli in recessione”. Un’aria parimenti preoccupata si respira a Daimler, la maggiore casa automobilistica tedesca: “Si naviga a vista nella totale incertezza”. Se si teme l’avvicinarsi di una recessione nella Repubblica federale tedesca, le preoccupazioni sono ancora maggiori nel Nord Italia, la cui manifattura produce in gran parte componenti per l’industria della Germania.



A Bruxelles, il centro studi Bruegel ha appena pubblicato un’analisi sui nuovi rischi di instabilità finanziaria nell’area dell’euro. L’instabilità finanziaria non si associa generalmente alla pur moderata crescita, ma la comprime. Quindi, nella migliore delle ipotesi il 2020 sarà un altro anno di stagnazione. Nella più probabile, invece, una recessione che, se le incertezze internazionali continuano, potrebbe essere più severa di quella del 2008-2009 e avrebbe già implicazioni per le prossime tornate elettorali.

Per il Governo ciò comporta una scadenza immediata: il Documento di economia e finanza che deve essere presentato in Parlamento il 10 aprile dovrebbe contenere non solo stime macroeconomiche rivedute e corrette rispetto a quelle dell’autunno scorso, ma soprattutto delineare una strategia per combattere una recessione. Tale strategia non può fare leva solo o principalmente sui piccoli ritocchi all’Irpef di cui si parla al ministero dell’Economia e delle Finanze, ma un programma che possa avere effetti immediati sulla produzione e sull’occupazione.

In questo quadro, è probabile che il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, tiri fuori il “piano shock” di investimenti pubblici, un “piano” che per ora è durato unicamente il tempo di un discorso. Ci sono, senza dubbio, lunghi elenchi di investimenti pubblici per i quali gli stanziamenti sono stati già deliberati. Occorre, però, fare un’analisi attenta per sapere se i progetti esecutivi sono immediatamente cantierabili, se e quali sono gli ostacoli amministrativi che ne ritardano o bloccano l’attuazione, se gli stanziamenti sono sorretti da effettive disponibilità di cassa, e via discorrendo. Un censimento da iniziare al più presto possibile.

Non incoraggia affatto il rapporto diramato a fine della scorsa settimana dal servizio studi della Camera dei Deputati, un documento redatto in collaborazione con l’Anac e il Cresme: a vent’anni dalla legge obiettivo è stato ultimato solo il 21% delle opere prioritarie. Le determinanti sono molteplici. Se non stati realizzati i necessari correttivi in vent’anni, è difficile pensare che si possa farlo in pochi mesi. Il censimento, quindi, deve individuare le opere su cui puntare e per le quali rimuovere gli ostacoli.