DEFAULT TECNICO RUSSIA: COSA RISCHIANO LE BANCHE ITALIANE
Con la Russia che si avvicina al default tecnico – ieri il mancato pagamento agli obbligazionisti dei 127 milioni di dollari di cedole, anche se con l’annuncio del Cremlino di aver ordinato ieri il pagamento in dollari – la situazione dell’economia globale non può non avere ripercussioni e conseguenze. Sul fronte Italia, è la situazione delle nostre banche principali a rappresentare un campanello d’allarme per la tenuta del sistema.
Dopo la morsa delle sanzioni occidentali contro Mosca – per via della nefasta guerra in Ucraina – anche le banche europee si apprestano a voltare le spalle per timore di gravi perdite sul mercato russo: Intesa Sanpaolo e Unicredit sono le due banche italiane tra quelle più esposte in Europa assieme alla francese Société Générale e all’austriaca Raiffeisen. Come spiega il focus di “Corriere della Sera Economia”, stanno tutte valutando di lasciare ogni attività nel Paese dato che incombe con forza il rischio di una «nazionalizzazione de parte del Governo sulle banche russe». Con l’impossibilità di accederei ai capitali delle altre banche europee, gli istituti di credito locali russi potrebbero essere presto “nazionalizzati” per evitare un default della Russia assai più ingente per la già molto colpita economia di Mosca.
INTESA SANPAOLO E UNICREDIT: DEFAULT RUSSIA, COSA SUCCEDE?
«Non si possono prendere conclusioni nel giro di una notte», ha spiegato lo scorso martedì il ceo di Unicredit, Andrea Orcel, «valutiamo l’uscita, dobbiamo considerare seriamente l’impatto e le conseguenze e la complessità del distacco completo di una banca dal Paese». I conti e i piani sono in corso e ogni possibile direzione è presa in seria considerazione dall’istituto di credito di Piazza Gae Aulenti: «i prestiti concessi in Russia sono pari a 7,5 miliardi di euro» e nella peggiore delle ipotesi «la perdita sarà di 1,9 miliardi», fanno sapere ancora da Unicredit. Conclude Orcel durante l’ultima European Financials Conference di Morgan Stanley: «Unicredit ha circa 4mila persone in Russia. Serviamo 1.500 aziende, di cui 1.250 sono europee che stanno cercando di staccarsi dal paese. Quindi – ha concluso – se da una parte sono scioccato per il conflitto e per le atrocità della guerra, devo anche bilanciare le conseguenze delle scelte che facciamo». Discorso simile per quanto riguarda Banca Intesa Sanpaolo, con l’amministratore delegato Carlo Messina che spiega «La nostra presenza in Russia è oggetto di valutazioni strategiche». 28 filiali e 976 dipendenti in tutto è il “conto” di Intesa in Russia il che costringe a prendere ogni accortezza possibile prima di “abbandonare” Mosca e chiudere tutto. L’esposizione è molto più ridotta rispetto a Unicredit – circa 200 milioni – anche se tra crediti a clientela e banche delle controllate locali l’ammontare dell’esposizione sale fino a 1,1 miliardi di euro: «in corso di valutazione analitica ai fini del miglior presidio dell’evoluzione prospettica del profilo di rischio e nel contesto previsto da REPowerEU della Commissione Europea e dalla recente dichiarazione di Versailles con riferimento alla riduzione della dipendenza energetica dell’Unione Europea ben prima del 2030», riporta la nota di Intesa Sanpaolo. Da ultimo, i crediti con la clientela russa è circa l’1% di tutto il gruppo e riguarda «primari gruppi industriali, contraddistinti da consolidati rapporti commerciali con clienti appartenenti alle principali filiere internazionali e da una quota rilevante dei proventi derivante da export di materie prime, con scadenze per la quasi totalità entro il 2027».