Un nuovo fallimento bancario agita il mondo finanziario americano e mondiale. Ma il crack della Silicon Valley Bank, un istituto di medie dimensioni dedicato soprattutto alle start up innovative legate al mondo dell’elettronica, rischia di avere delle ripercussioni anche per l’Europa e l’Italia.
“Nessuno si aspettava che questa crisi potesse ripercuotersi rapidamente al di fuori del settore internet” spiega Mario Deaglio, professore emerito di economia internazionale all’Università di Torino. E anche se il pericolo per ora non sembra immediato, la situazione di incertezza, dovuta non solo al caso Svb, suggerisce di tenere alta l’attenzione.
Professore, come si può spiegare il fallimento della banca americana?
Voglio fare una premessa che normalmente non si fa. E cioè che il settore internet da almeno sei mesi, e probabilmente anche da un po’ di più, è in crisi, dovuta a motivi legati al Covid: ha avuto una grandissima diffusione al tempo della pandemia perché la gente non poteva muoversi. Adesso la gente preferisce andare a comprare nei negozi piuttosto che farsi portare tutto a casa. E quindi anche i vari avatar e tutto il resto hanno raggiunto un limite. Ci sono stati degli insuccessi di mercato. E questa crisi si riflette sui risultati delle imprese e sui licenziamenti.
L’economia legata a internet, in effetti, ha fatto segnare parecchi licenziamenti.
I grandi di internet negli ultimi sei mesi hanno licenziato, o annunciato licenziamenti, per 200mila persone. Poi ci sono i piccoli, fornitori dei grandi, che fanno le ricerche, gli studi, le invenzioni, che sono i clienti di queste banche medie, totalmente legate a questo mondo. Io vedo la crisi di Svb come il risultato di tutto questo, in un contesto dove i controlli bancari non si fanno come in Europa, ma sono molto più blandi, quando ci sono.
Un caso che ha avuto una forte eco sui mercati, qual è il motivo?
Sul perché ci sia una ripercussione proprio bene non lo sa nessuno: c’è qualcosa che si è inceppato nell’ottimismo del settore, nei risultati. Penso che conti molto questo cambiamento di opinione della gente. Per esempio, pensiamo alla realtà virtuale, dicono: “Non puoi andare a Venezia, te la facciamo vedere noi, mettiti questi occhiali”. Questo va bene per un po’, a un certo punto la gente a Venezia ci vuole andare davvero.
Da noi difficilmente si può verificare lo stesso problema?
Primo: noi non abbiamo questo tipo di banche specializzate nell’elettronica. E nemmeno dei segmenti delle banche che siano proprio mirati all’elettronica. È una delle nostre debolezze industriali perché noi facciamo poca elettronica. Secondo: la vigilanza sulle banche europee e italiane è un’altra cosa. Le situazioni di sofferenza dei clienti che la Fed non ha visto in America da noi sarebbero state viste e ci sarebbe stato subito un intervento. Oggi poi le verifiche si fanno in diretta, non è che viene l’ispettore, apre un libro e lo sfoglia. No, c’è un computer che ha un link, quindi la banca centrale è al telefono mezzora dopo. In America questo non si fa a livello di banche medie, si fa anche poco a livello di banche più grandi, ma da noi si fa. Che la situazione possa scappare di mano come è scappata agli americani, francamente non credo.
La riunione della Bce di domani, con un possibile aumento dei tassi di interesse di altri 50 punti, potrebbe influire negativamente sulla situazione, anche per l’Italia?
In cosa si traduca tutto questo in termini di aumento e variazione dei tassi non lo so. Partiamo da una situazione in cui una parte dei Governatori che è nel Consiglio della Bce e la presidente sono per rialzi decisi, lo erano fino all’altro giorno. Credo che la prudenza, il pericolo di trovarsi qualcuno scoperto e una situazione anche psicologica come questa, in cui i mercati se uno starnuta dicono che ha la polmonite, dovrebbero rallentare la tendenza all’aumento dei tassi. Dico rallentare perché una tendenza all’aumento dei tassi ci sarà. Fare uno 0,5% in queste condizioni penso che sia poco realistico.
Qualcuno paventa un pericolo di speculazione sull’Italia e ipotizza in una politica anti spread della Bce per evitare problemi. È un pericolo reale visto il debito che abbiamo?
Questo debito è detenuto per tre quarti almeno dalla Banca centrale europea e dalla Banca d’Italia per conto della Banca europea, quindi non ce n’è così tanto sul mercato, anche se è tantissimo in assoluto. Inoltre la sua durata in questi anni si è allungata. Scadono e vengono rinnovati titoli per almeno un miliardo al giorno, molti rinnovati automaticamente dalla Bce, anche se lì la politica è di farne sempre meno. Quest’anno un 15% del debito non verrà rinnovato automaticamente, bisognerà cercarlo sui mercati.
Cosa si può fare per reperire le risorse?
Qui interviene il punto debole italiano. Non è che l’Italia possa fare quello che vuole sui conti, deve fare attenzione. Una delle cose che ha fatto questo Governo è stato di invitare con successo gli italiani ad acquistare titoli di Stato italiani. A me sembra tanto come ai tempi di Mussolini che si invitava a dare l’oro alla Patria, comunque la gente e le banche ci hanno creduto. Non è una cosa che risolve, ma è un piccolo segnale. Hanno impostato abbastanza bene il bilancio pubblico, tenendo le linee di Draghi, che erano state concordate con la Bce. Al momento questo rischio non c’è. Sicuramente noi siamo l’anello debole, ma penso che di debolezze ne abbiamo tutti: i francesi ne hanno sul sistema pensionistico, i tedeschi hanno debolezze su tutto, un sistema economico invecchiato, poi ci siamo noi e se andiamo giù Spagna e Grecia.
Il rischio di speculazione è come prima, quindi, sostanzialmente non è cambiato con questo fallimento?
Diciamo sostanzialmente e oggi. Tutto può essere diverso tra una settimana o dieci giorni: sul fronte della guerra ucraina adesso si incontreranno Xi e Putin e chissà cosa si dicono. Sul fronte dell’economia noi stiamo andando meglio degli altri. Diciamolo sotto voce, ma la famosa crisi che Lagarde temeva a settembre non c’è stata, per noi italiani. Poi che abbiamo fatto errori, che abbiamo favorito più i ricchi che i poveri, è un’altra cosa. Ma il sistema in sé ha tenuto, creando anche un bel po’ di impieghi. Sono un milione di posti di lavoro recuperati. Non sono bei lavori, abbiamo un sacco di poveri ma la barca per il momento galleggia. Siamo maestri nel galleggiare, dove andiamo non lo sappiamo, però per il momento è così.
La speculazione, insomma, potrebbe anche esserci ma può dipendere anche da molte altre variabili che non siano quelle legate alla crisi Svb?
Assolutamente sì. Ci sono anche altri aspetti: i tedeschi si rifornivano molto dai cinesi prima della guerra in Ucraina, adesso diventa più difficile, perché i cinesi pensano agli affari loro, a Taiwan, un minimo di pressione la fanno. Noi comunque abbiamo una caratteristica: sappiamo fare quasi tutto. Dagli strumenti elettronici fino all’artigianato meccanico più avanzato: le fotocopiatrici in 3D le abbiamo inventate noi.
L’Italia non è messa così male.
Si è creata una fascia di imprese medie che sono molto presenti sui mercati internazionali e vanno bene. Se i tedeschi non si approvvigionano più dalla Cina gli costerà un po’ di più ma possono comprare da noi. Dopo di che non è neanche una situazione tanto simpatica: dipendiamo da tutte queste variabili.
Ma alla fine il rischio contagio dopo la bancarotta Svb per noi è reale o no?
Dobbiamo preoccuparci ma non farci prendere dall’agitazione. Osservare con attenzione quello che succede. Per il momento non ne siamo coinvolti.