Ha dovuto attendere quasi quattro mesi Giuseppe Conte per trasformare in effettiva la sua leadership sul Movimento 5 Stelle. Ma il difficile viene proprio adesso, nel momento in cui il contenzioso con Davide Casaleggio sembra risolto e la sua incoronazione attraverso il voto online sembra questione di poco.

Dal momento della fine del governo Conte 2 M5s ha galleggiato in un limbo, con organismi dimissionari (il reggente Crimi), e l’impossibilità di eleggere i nuovi vertici, quel  direttorio a 5 previsto dalla riforma statutaria votata il 17 febbraio. Peccato che al momento del voto quella riforma fosse considerata dai più già vecchia, essendo stato promesso il posto di leader unico proprio a Conte, ex premier da pochi giorni.



Dietro la calma apparente si è consumata una guerra senza esclusione di colpi, con il tribunale di Cagliari che riconosceva l’assenza di una leadership pienamente legittimata, ma l’impossibilità di votarla, essendo gli elenchi nelle mani dell’Associazione Rousseau, guidata dal figlio del Fondatore, che reclamava centinaia di migliaia di euro non versati dagli eletti.



Il contenzioso economico-giuridico ha nascosto dietro una cortina fumogena lo scontro politico per il controllo del Movimento, lo stillicidio di abbandoni, quelli di molti eletti sconosciuti ai più, e anche quello di un non eletto popolarissimo nella base pentastellata, Alessandro di Battista.

Per oltre cento giorni Conte ha tergiversato, studiando un nuovo statuto ed un nuovo programma per il Movimento. Ora è venuto il tempo di mettere le carte in tavola. L’avvocato con la pochette ha sin qui arginato, grazie alla sua notevole popolarità, il calo dei consensi dei pentastellati, che infatti nei sondaggi oscillano fra il 15 e il 17%. Ma ora deve dire dove intende indirizzare M5s.



Davanti ha una pagina bianca. I fondatori sono praticamente alle spalle, visto che Grillo rimane sempre più sullo sfondo anche per via dei guai giudiziari dei suoi familiari. Il Movimento targato Conte sarà quindi un’altra cosa. ma nessuno sa oggi cosa, anche perché il suo stato maggiore continua ad essere turbolento. Basti riflettere su quanto Conte sia stato condizionato nel suo dialogo con il Pd dall’ostinazione con cui Virginia Raggi ha difeso, con successo, le ragioni della propria ricandidatura a sindaco di Roma.

La scelta del campo del centrosinistra è ormai chiara, ma non certo indolore. Non tutti la condividono, richiamandosi alle origini, a un movimento alternativo al sistema dei partiti. Il “Pdl e il Pd meno elle” di Grillo sono consegnati agli archivi, ma la diffidenza verso i democratici resta alta e bisognerà vedere se il travaso di voti sarà digerito dalle rispettive basi alle amministrative di autunno. Gli esperimenti delle regionali dell’Umbria e della Liguria non sono stati sin qui incoraggianti.

Sino a quando è stato a Palazzo Chigi, Conte era visto come il federatore possibile dell’asse giallorosso. Nel Pd era soprattutto Goffredo Bettini a disegnare questo scenario. Non è affatto detto che sia ancora così. Conte non è più premier, e il Pd è guidato da Letta, molto meno arrendevole di Zingaretti. Le amministrative d’autunno potrebbero anche disegnare nuovi equilibri nell’alleanza giallorossa, consolidare un sorpasso che nei sondaggi c’è, con i democratici a rivendicare la candidatura alla premiership.

Altro scoglio su cui la navigazione di Conte potrebbe arenarsi è rappresentato dall’area del dissenso. Che farà Casaleggio, cui rimane il patrimonio immenso dei dati degli iscritti al blog? Difficile che accetti di uscire del tutto dalla scena politica. Con i mezzi a sua disposizione potrebbe favorire la nascita di una nuova aggregazione, magari con Di Battista come front man. Radunare almeno una parte dei fuoriusciti è possibile: tre anni fa il Movimento aveva eletto 227 deputati e 112 senatori, ridotti oggi rispettivamente a 162 e 75. Ci sono 102 personaggi in cerca d’autore.

Per Conte si tratterebbe di una concorrenza insidiosa, da contrastare rimettendosi a fare politica: lui è l’unico leader non ancora ricevuto da Draghi, che ha regolari incontri con tutti: Letta, Salvini e persino Meloni. Sarà una corsa contro il tempo: le amministrative d’autunno ci diranno se M5s avrà saputo rifondarsi, oppure se l’esperienza più antipolitica della storia italiana si avvia sul viale del tramonto.

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