Il delitto di Cogne, su cui si concentra la puntata odierna di “Faking It – Bugie criminali” sul NOVE, è stato per diversi motivi il primo caso mediatico di cronaca nera in Italia: il terribile omicidio di Samuele Lorenzi del 2002, per il quale la mamma Annamaria Franzoni è stata condannata ed è già libera, divise l’opinione pubblica tra chi non credeva che la donna potesse commettere un crimine così efferato e chi invece non ha mai nutrito dubbi sulla sua colpevolezza.



Ha fatto anche discutere per il verdetto: nel 2008 fu condannata a 16 anni di carcere, ridotti a 13 per l’indulto, poi a 10 per buona condotta; alla fine è stata 6 anni in carcere e ne ha trascorsi meno di 5 ai domiciliari.  Ma il delitto di Cogne ha anche rivoluzionato le indagini: le macchie di sangue sulla scena del crimine furono analizzate con una tecnica particolare, bloodstain pattern analysis, che quasi nessuno conosceva all’epoca in Italia.



Fu possibile grazie ai Ris di Parma, allora guidati dal generale Luciano Garofano, ora in pensione. Quella novità non solo cambiò il processo per il caso del delitto di Cogne, ma anche altri. L’accusa fu in grado di dimostrare che gli zoccoli e il pigiama di Annamaria Franzoni, indossato prima di uscire di casa la mattina del delitto, erano intrisi delle macchie di sangue del figlio. Ciò voleva dire che li aveva addosso quando Samuele fu ucciso.

IL CASO NEL CASO: L’INDAGINE SU GAROFANO DEI RIS

Per la prima volta quella tecnica ebbe valore processuale e diede un contributo importante alla condanna, ma il generale Luciano Garofano venne denunciato dalla difesa. Come raccontato dallo stesso ex capo dei Ris all’agenzia Dire negli anni passati, fu indagato per cinque anni in seguito a un esposto alla procura militare e a quella ordinaria per tre ipotesi di reato (peculato, truffa, falso ideologico in atto pubblico), ma il caso venne archiviato nel 2013.



Inizialmente fu colto di sorpresa, ma la questione è stata risolta, anche a livello personale con l’avvocato Carlo Taormina: «Si è anche scusato con me perché mi ha fatto capire che aveva dato troppo ascolto a persone che non avevano credibilità e apprezzo che abbia voluto incontrarmi», dichiarò Garofano a Dire. Quella tecnica comunque è rimasta nella storia giudiziaria italiana ed è risolutiva nei casi in cui ci sono ingenti macchie di sangue che sono collegabili a una dinamica precisa. Infatti, è stata usata anche per la strage di Erba.

IL DELITTO DI COGNE IN TV

Il delitto di Cogne fu un caso mediatico al punto tale che qualcuno ritenne che la difesa potesse mettere in difficoltà gli inquirenti impedendo che le indagini potessero andare avanti con riservatezza. Ad esempio, ci furono molte apparizioni tv della stessa Annamaria Franzoni, la prima fu uno scoop di Studio Aperto che la intervistò a pochi mesi dall’omicidio. In molti ricordano ancora che la donna piangeva durante il suo racconto, poi quando si spense la telecamera si lasciò andare a una domanda: «Ho pianto troppo?».

Anche questo alimentò la tesi dei colpevolisti riguardo una presunta strategia difensiva riguardo l’uso dei media per condizionare l’opinione pubblica sul delitto di Cogne. Come quando al Maurizio Costanzo Show le fu chiesto se fosse incinta: la mamma di Samuele liquidò la questione parlando di «cose private», ma il conduttore fece notare che dalla risposta si poteva dedurre che aspettava un altro figlio, infatti nel 2003 diede alla luce Gioele.