Delitto di Garlasco: cosa è successo

L’omicidio di Chiara Poggi dal 2007 ad oggi tiene ancora incollati gli italiani alle pagine di cronaca. Divenuto tristemente noto come delitto di Garlasco, soprattutto da parte della stampa, fu uno dei più discussi ed intricati casi mediatici dei primi anni 2000. Ancora oggi qualche dubbio permane, soprattutto sul movente del brutale omicidio, ma anche sull’arma del delitto, mai trovata e c’è addirittura chi dubita che il colpevole sia Alberto Stasi, ex fidanzato della ragazza di 26 anni.



La vicenda del delitto di Garlasco risale al 13 agosto del 2007 quando Alberto Stasi, di notte, chiamò i soccorso dalla villetta di proprietà della famiglia Poggi, denunciando di aver trovato il cadavere di Chiara. La ragazza era stata colpita a morte con un oggetto contundente, che gli inquirenti supposero essere un martello ma che non fu mai trovato, mentre nella casa non c’era segni di effrazioni o furti. Si escluse subito la pista del furto finito male, e si iniziò a stringere il campo attorno ad Alberto Stasi, sui cui vestiti quella sera non si trovò alcuna traccia di sangue nonostante le numerose macchie presenti in casa, supponendo li avesse cambiati prima di chiamare i soccorsi. Venne poi scarcerato pochi giorni dopo per insufficienza di prove.



Delitto di Garlasco: come si arrivò all’arresto di Alberto Stasi?

Insomma, il delitto di Garlasco che è costato la vita alla 26enne Chiara Poggi, all’epoca da poco laureata in economia, trovò nella persona di Alberto Stasi il principale indagato. Inizialmente, agli inquirenti parve sospetto che le scarpe e gli indumenti di Stasi fossero completamente puliti vista la grande quantità di sangue presente sulla scena del delitto della Poggi. Venne tratto in arresto e poi rilasciato pochi giorni dopo perché non si trovarono riscontri sulla sua colpevolezza.

I legali di Alberto Stasi, che all’epoca del delitto di Garlasco aveva 24 anni, sottolinearono che gli abiti erano puliti perché il sangue era già secco quando lui trovò la ragazza, sostenendo anche un alibi per il ragazzo, che nelle ore dell’omicidio stava lavorando al pc alla tesi di laurea. Assolto in primo e secondo grado, il caso venne portato alla Cassazione, che impugnò i verdetti precedenti, annullandoli e chiedendo nuovi test del dna. Questi diedero esiti compatibili all’imputato, ma senza un riscontro tale da far pensare all’indubbia colpevolezza di Stasi.



In occasione del processo bis, e siamo arrivati al 2014, ben 7 anni dopo il delitto di Garlasco, una nuova perizia dell’accusa, oltre ad alcune incongruenze nei racconti resi agli inquirenti, portarono alla condanna definitiva di Alberto Stasi a 24 anni di reclusione, ridotti grazie al rito abbreviato. Sul movente non si seppe mai nulla, se non che per “un motivo rimasto sconosciuto” la fidanzata era diventata per lui “scomoda e pericolosa”, mentre Stasi dal carcere continua a professare la sua innocenza.