Bisogna indagare ancora sull’omicidio di Simonetta Cesaroni: non solo è stata respinta l’archiviazione dell’inchiesta, ma ci sono anche due piani paralleli su cui ci si può muovere. La gip Giulia Arcieri, oltre a opporsi alla richiesta di archiviazione della procura di Roma, ha stabilito che vengano ascoltati 26 testimoni e consulenti per fare luce sul delitto di via Poma. Tra le persone da ascoltare ci sono l’ex questore capitolino Carmine Belfiore, che ora è vice capo della polizia, l’ex dirigente della sezione omicidi Antonio Del Greco, ma anche alcuni giornalisti e il criminologo Carmelo Lavorino, i quali hanno realizzato inchieste giornalistiche che hanno sollevato aspetti mai presi in considerazione.



Stando a quanto riportato da LaPresse, saranno ascoltati anche la portiera del palazzo vicino a quello dell’omicidio, la domestica dell’ex datore di lavoro di Simonetta Cesaroni, la magistrata della Corte dei Conti Rita Loreto e il vicepresidente della Camera Sergio Costa. Altri particolari li ha forniti il Corriere della Sera, spiegando che ci sono anche delle perquisizioni da effettuare subito, ma anche sequestri.



LA REAZIONE DELLA SORELLA DI SIMONETTA CESARONI

Dunque, la decisione della gip di Roma imprime una importante svolta al caso, perché l’inchiesta fa ufficialmente un salto di qualità. Da un lato c’è la necessità di scoprire chi ha ucciso la giovane nel 1990 all’interno dell’ufficio in cui lavorava, nel quartiere Prati, dall’altro quello di scoprire chi ha favorito depistaggi e inquinamenti probatori in tutti questi anni.

La sorella di Simonetta Cesaroni è ottimista riguardo questa svolta, infatti tramite il suo legale, l’avvocato Federica Mondani, ha fatto sapere di avere “la sensazione chiara che d’ora in poi qualcosa cambierà“.



GLI ERRORI INVESTIGATIVI E LE NUOVE PISTE

Resta centrale nel delitto di via Poma, anche se è ormai morto, Caracciolo di Sarno, presidente dell’Aiag per cui lavorava la vittima, il cui alibi era fragile. C’è una figlia da interrogare, ma il gip si è chiesto perché non venne convocato in questura e come mai poté accedere sul luogo del delitto anche se era sotto sequestro. Non fu mai verificato l’alibi di Fabrizio Guerritore, notaio che lavorava come avvocato sullo stesso pianerottolo: aveva un’arma compatibile con le ferite riscontrate sul corpo di Simonetta Cesaroni, eppure anche ciò fu trascurato.

Una delle tante imprecisioni che la gip di Roma ha messo nero su bianco nel suo decreto, in cui segnala “tanti errori investigativi“, ma ci sono – riporta il Corriere – anche intrecci con i servizi segreti, perché si parla di legami tra il proprietario dell’immobile, Manlio Indaco Giammona, e il Sisde e tra questi e il direttore nazionale dell’Aiag, in quanto cognato del prefetto Riccardo Malpica, che all’epoca era direttore del Sisde. Senza trascurare la figura di Massimo Carminati che potrebbe sapere di depistaggi, quindi non si esclude che il “Nero” venga sentito di nuovo.