Il 27 marzo 1995, l’imprenditore della moda Maurizio Gucci, erede della celebre maison, fu ucciso con tre colpi di pistola nell’androne di un palazzo in via Palestro, a Milano. Un omicidio scioccante che segnò le cronache di un’intera epoca, come sconvolgente fu il quadro emerso in sede di indagini e a processo: secondo la giustizia italiana, a ordinare il delitto sarebbe stata la ex moglie Patrizia Reggiani, “Lady Gucci” poi ribattezzata “la vedova nera” condannata a 26 anni di carcere quale mandante. Ne ha trascorsi 17 in cella, scontata la pena come gli altri soggetti coinvolti nel caso e tutti tornati in libertà: Pina Auriemma, detta la “maga”, amica di Patrizia Reggiani ritenuta “intermediaria” tra l’ex signora Gucci e i sicari e condannata in via definitiva a 19 anni e mezzo (scarcerata dopo 13 anni); Ivano Savioni, condannato a 20 anni e tornato libero nel 2010; Orazio Cicala, condannato a 26 anni e oggi deceduto; Benedetto Ceraulo, ritenuto esecutore materiale dell’omicidio, condannato a 28 anni e 11 mesi di reclusione.



Maurizio Gucci, all’epoca del delitto, aveva 45 anni e per 13 è stato legato a Patrizia Reggiani. Un grande amore, secondo le cronache rosa, finito nel 1985 con la separazione, poi una nuova relazione con la compagna che gli sarebbe stata accanto fino alla morte, Paola Franchi. Proprio Savioni, ai microfoni di Agi, ha ripercorso le tappe della storia fornendo una sintesi della sua versione dei fatti: “Doveva essere una truffa, finì in un omicidio“. Stessa tesi sostenuta da Pina Auriemma nelle sue dichiarazioni in aula e davanti alle telecamere.



Ivano Savioni sul delitto Gucci: “Doveva essere una truffa…”, la sua versione sull’omicidio “ordinato” da Patrizia Reggiani

Al quotidiano Il Giorno, Ivano Savioni ha affidato una sintesi della sua versione dei fatti così come ha fatto ai microfoni dell’agenzia Agi, sottolineando di essere rimasto in silenzio a lungo: “Per anni non ho voluto dire niente. Alla fine mi sono scocciato di sentirmi definire organizzatore, basista e altro dell’omicidio di Maurizio Gucci. Giuseppina Auriemma, napoletana, era la zia della migliore amica di mia moglie. Sapeva che ero a Milano e mi venne a trovare. Mi disse che c’era una sua amica, una signora, che avrebbe avuto piacere di togliere di mezzo il marito. Pensai che era un’occasione per portare via un centinaio di milioni di lire a una che aveva i miliardi. Era chiaro che la cosa era da perfezionare per renderla credibile. Ma per me doveva essere solo un bidone per farci un po’ di soldi. Nessun omicidio. Ne parlai a Orazio Cicala, un siciliano che aveva un ristorante ad Arcore. Gli portai la Pina…“.



Secondo la versione di Savioni, il “lavoro” da svolgere si sarebbe dovuto limitare a una truffa per incassare soldi facili facendo credere a Patrizia Reggiani di assecondare il suo desiderio di “sopprimere il marito“, come ha ricordato all’Agi: “Sinceramente cominciai a pensare che se fossimo riusciti a portarle via un po’ di soldi non sarebbe stato male visto che era una miliardaria. Per me sarebbe stato un peccato ingannare un pensionato, ma una come lei…“. Savioni ha poi ripercorso il momento in cui ha appreso della morte di Maurizio Gucci: “La mattina del 27 marzo 1995 ero in fila al casello di Brescia Ovest. La radio diede la notizia dell’uccisione di Gucci e di un’altra persona. Per fortuna, almeno la seconda parte non era vera e il portiere dello stabile di via Palestro era vivo. Mi venne un colpo. Il giorno dopo mi precipitai da Cicala. Mi rassicurò che tutto era fatto e io ero sempre dentro l’affare. Conclusione: ero stato tagliato fuori e la cosa aveva camminato a mia insaputa“. Le indagini sul delitto registrarono una svolta nel gennaio 1997, due anni dopo l’assassinio di Maurizio Gucci, con l’arresto di Patrizia Reggiani per omicidio volontario premeditato. Ossessionata e accecata dalla gelosia, secondo la giustizia, disposta a tutto pur di non perdere lo status di “signora Gucci” e i privileggi annessi alla sua vita glamour. A processo, Benedetto Ceraulo, ritenuto l’esecutore materiale, non avrebbe mai smesso di proclamare la sua innocenza. Condannati con lui l’autista Orazio Cicala, la stessa Pina Auriemma, considerata l’anello di congiunzione tra Patrizia Reggiani e il resto del gruppo, e Ivano Savioni che, ricostruisce Il Giorno, secondo gli inquirenti avrebbe trattato con la vedova un compenso di 600 milioni di lire per portare a termine il piano.