Il corpo massacrato di Pier Paolo Pasolini, fu rinvenuto la mattina del 2 novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia. Ma chi furono davvero gli esecutori di quel delitto mai risolto? Da decenni si rincorrono le domande sul movente che ha portato all’omicidio dello scrittore. Per la giustizia ci fu un solo colpevole, Giuseppe ‘Pino’ Pelosi, all’epoca minorenne e condannato a 9 anni e 7 mesi. Nonostante ciò e nonostante le quattro riaperture di indagini, i dubbi sull’omicidio non sono mai stati definitivamente chiariti. Nell’aprile del 1979 giunse la condanna in Cassazione che confermava la sentenza d’Appello durante la quale era già venuti meno il “concorso con ignoti” riconosciuto nel primo grado.
Nel 2010 furono svolte le ultime indagini preliminari sul caso che hanno portato alla raccolta di numerosi elementi, raccolti in sette faldoni. Cinque anni dopo, però, come rammenta il settimanale Oggi, il pm chiederà al gip (ed otterrà) l’archiviazione. Ancora dubbi nonostante i 120 sospettati ed i numerosi esami svolti dal Ris sui reperti con conseguente estrazione dei Dna ed incerta datazione dei profili.
Delitto Pasolini, spunta ruolo di un boss
In merito al delitto di Pier Paolo Pasolini, la procura di Roma aveva riaperto le indagini per tre volte tra il 1987 ed il 2005. In quest’ultimo caso Pelosi ribaltò le sue ultime dichiarazioni asserendo che la notte della morte dello scrittore, con lui vi erano altre persone e che Pasolini non usò mai violenza nei suoi confronti. Tanti altri elementi condurrebbero a verità diverse ma è soprattutto sul movente che emergono i maggiori dubbi. Tutto sembrerebbe ricondurre al furto delle ultime scene del film Salò o le 120 giornate di Somoda.
A parlarne al settimanale Oggi è stato l’ex agente infiltrato della Dea, Nicola Longo: “Fui io nel 1976 a recuperare le pizze di quei film attraverso l’aiuto di un pezzo grosso della criminalità ormai deceduto, che per cercare di allentare un po’ la mia presa sulla banda, al tempo, mi disse che avrebbero fatto ritrovare le pellicole”. L’ex agente ha raccontato che gli portarono alcuni campioni di scena sottratte dal Casanova di Fellini come prova che non stessero mentendo: “Fecero ritrovare tutta la merce rubata, comprese le pizze di Salò, nell’armadio blindato da dove erano state rubate”. Sebbene il film fosse stato poi concluso con scene di scarto – pur di non cedere a ricatti -, Pasolini, insieme a Pelosi, Sergi Citti ed altri non smise mai di cercarle. Come confermato dall’ex agente Longo a, settimanale, il criminale che le fece riconsegnare non chiese nulla in cambio.