Si riapre ufficialmente il “caso di Anzola”, la morte dell’artigiano Dino Reatti per il quale sono stati condannati in via definitiva in Cassazione la moglie Sonia Sosò Bracciale (21 anni e 2 mesi), l’amico della donna (innamorato di lei) Giuseppe Trombetta (16 anni) e l’amante all’epoca di Sonia, Thomas Sanna (14 anni).



Se i due uomini hanno confessato all’epoca dei fatti – la notte tra il 7 e l’8 giugno 2012 – l’esecuzione materiale dell’omicidio a sprangate di Reatti, per Bracciale l’accusa e condanna è stata per aver architettato il delitto nei minimi dettagli. Ebbene, spiega oggi “Il Resto del Carlino”, si riaprirà il 15 febbraio prossimo in Corte d’Appello di Ancona il caso dopo che il ricorso della difesa di Sonia Bracciale è stato accolto dal decreto del Presidente della Sezione Penale Giovanni Trerè. Le nuove prove presentate dall’avvocato Gabriele Magno, dopo una lunghissima battaglia legale successiva alla condanna in Cassazione, saranno nuovamente messe a disposizione della Corte: «nuove prove che dimostrano come Sonia sia innocente, non essendoci al contrario prove contro di lei», spiega al “Resto del Carlino” il legale nonché presidente dell’Associazione nazionale vittime di errori giudiziari.



PERCHÈ IL CASO DEGLI “AMANTI DIABOLICI” È STATO RIAPERTO

Considerati nella provincia di Bologna come “gli amanti diabolici”, si riaccendono i riflettori sul caso di cronaca nera che ha raggiunto negli scorsi anni anche la prima serata Rai con la puntata di “Storie Maledette” che ospitava l’intervista a Sonia Bracciale. La condannata a 21 anni si professa innocente, «non sono la mandante, non c’entro nulla». Il suo avvocato Magno ha poi anticipato alcuni dettagli del lungo report di nuove prove presentate alla Corte: «Siamo in possesso della ritrattazione completa sia di Trombetta, il grande accusatore, sia di Sanna. Poi abbiamo una lista di testimoni da sentire, compresi i nostri consulenti». Non solo, la difesa di Bracciale intende dimostrare come le intercettazioni ambientali nella caserma dei carabinieri di Anzola presero un abbaglio nel leggere i fatti: «La ricostruzione delle conversazioni consiste semplicemente nel far combaciare gli audio con i video nella caserma, azione non fatta nel montaggio dagli investigatori, che così hanno indotto il giudicante a ritenere che Sonia fosse d’accordo con Sanna e Trombetta». In quelle intercettazioni, sostiene l’avvocato Magno, la donna non saprebbe della morte del marito e dunque non avrebbe potuto organizzare lei la spedizione punitiva in accordo con l’amante e l’amico. Decisamente oraria la reazione della famiglia Reatti, con la sorella di Dino – Renata – che ha sempre ritenuto pienamente colpevole Sonia Bracciale: in un’intervista di qualche mese fa ribadiva, «Per tutta la vita ha manipolato chiunque. Lei è sempre stata violenta con mio fratello. La verità di tre tribunali è già stata scritta, una volta ogni tanto giustizia è stata fatta».

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