Dopo più di un anno dall’inizio della pandemia, Milano è uno dei simboli dell’emergenza Covid: tra le città più colpite a livello sanitario ed economico, frenata nella sua corsa fino al 2020 infermabile tra le grandi metropoli europee, oggi sotto l’ombra della Madonnina si cerca di trovare qualcosa a cui appigliarsi per andare avanti. L’arcivescovo Mons. Mario Delpini nella lunga intervista al Corriere sottolinea come serve una speranza più “solida” contro la paura esplosa negli ultimi 12 mesi, ma serve non parlare sempre e solo di pandemia vista l’enorme piaga sociale che si ha davanti:
«Ciascuno pratica il suo sport: corrono, ma non vanno da nessuna parte. Tante solitudini: ciascuno ha cura di sé, si tiene in forma; meglio stare distanti dagli altri. Io la vedo come un organismo molto complesso. Ogni parte deve funzionare perché l’insieme funzioni. Ma in ogni parte non ci sono ingranaggi, ma persone: si alzano ogni mattina e si danno da fare perché la città funzioni». Una città ricca di solitudini che ha bisogno di una “guida” e una testimonianza, di un diverso punto di vista: per l’arcivescovo tale è offerto come sempre dalla Madonnina, «il punto di vista che comprende meglio la città è quello della Madonnina sulla guglia più alta del Duomo. La Madonnina — credo — vede la città come una comunità che merita di essere amata».
NON SOLO COVID: L’EMERGENZA SPIRITUALE E SOCIALE
Per Delpini l’aumento delle povertà anche nella ricca Milano è sempre più evidente e servirà un nuovo rapporto privato-pubblico per uscire da questa crisi nei prossimi mesi: «La tradizione ambrosiana ha sempre cercato un modello di collaborazione. Le emergenze forse hanno costretto a forme più abituali. Ma non c’è niente che si consolidi se non è pensato, voluto e costruito con competenza e lungimiranza. Un “nuovo modello” non uscirà di per sé da qualche esperienza vissuta in tempo di emergenza. Richiederà motivazioni, pensiero e decisioni». Ma occorre ben altro per risollevarsi, serve una vera e propria speranza contro la paura della pandemia e della crisi: «Se l’animo è occupato dalla paura e agitato, dove troverà dimora la speranza», spiega ancora l’arcivescovo parlando di “emergenza spirituale” a Milano: «Intendo lanciare un allarme: se il virus occupa tutti i discorsi non si riesce a parlare d’altro. Quando diremo le parole belle, buone, che svelano il senso delle cose? Se il tempo è tutto dedicato alle cautele, a inseguire le informazioni, quando troveremo il tempo per pensare, per pregare, per coltivare gli affetti e per praticare la carità? Se l’animo è occupato dalla paura e agitato, dove troverà dimora la speranza? Se uomini e donne vivono senza riconoscere di essere creature di Dio, amate e salvate, come sarà possibile che la vicenda umana diventi “divina commedia”?».