La variante Delta del Covid non sembra far ammalare di più i bambini. Inoltre, la risposta immunitaria secondaria risulta più forte dopo l’infezione che dopo la vaccinazione. È quanto emerge da alcuni studi citati da Reuters. Cominciano dallo studio britannico secondo cui la variante Delta del coronavirus non causa forme più gravi del Covid nei bambini rispetto a prima. Ma quelli che si infettano con la Delta accusano leggermente più sintomi rispetto a coloro che sono stati contagianti, ad esempio, con la variante Alfa. In entrambi i casi sono pochissimi i bambini che hanno avuto bisogno del ricovero o che hanno una durata lunga della malattia. Lo studio in questione, pubblicato giovedì su medRxiv, ha esaminato due gruppi di bambini in età scolare con Covid, di cui 694 infettati con Alfa tra fine dicembre 2020 e inizio maggio 2021 e 706 infettati con Delta tra fine maggio e inizio luglio. La metà dei bambini di entrambi i gruppi non ha avuto la malattia per più di cinque giorni.  La conclusione dei ricercatori è semplice: «I nostri dati suggeriscono che le caratteristiche cliniche della COVID-19 dovuta alla variante Delta nei bambini sono ampiamente simili alla COVID-19 dovuta ad altre varianti».



Questo studio sembra convergere con i dati riportati ai Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie. «Anche se stiamo vedendo più casi nei bambini, questi studi hanno dimostrato che non c’è stato un aumento della gravità della malattia nei bambini», ha dichiarato Rochelle Walensky, direttrice del CDC.  Ma se si sono registrati più casi è perché la diffusione del coronavirus è maggiore, anche per la contagiosità della variante Delta.



LO STUDIO SULLA RISPOSTA IMMUNITARIA SECONDARIA

C’è poi un altro studio che ha indagato sulla risposta immunitaria secondaria, dovuta alla memoria immunologica, confrontando quella da infezione con quella da vaccinazione. Si tratta della risposta immunitaria che si sviluppa grazie alle cellule B di memoria, che si evolvono e rafforzano per mesi, producendo anticorpi potenti che sono in grado di neutralizzare anche le nuove varianti. Tale studio, pubblicato giovedì su Nature, evidenzia che le cellule B di memoria indotte dai vaccini sono meno robuste, si evolvono per poche settimane e non “imparano” mai a proteggere contro le varianti. Dunque, i vaccini inducono più anticorpi che il sistema immunitario acquisisce dopo l’infezione da coronavirus, ma sono meno forti. In generale, i loro livelli scendono in sei mesi. D’altra parte, Michel Nussenzweig della Rockefeller University, leader dello studio, evidenzia che, «anche se un’infezione naturale può indurre la maturazione di anticorpi con attività più ampia di un vaccino, un’infezione naturale può anche ucciderti». Invece col vaccini non solo non c’è questo rischio, ma «protegge dal rischio di gravi malattie o di morte per infezione».