Il virus che ha investito il mondo non colpisce solo le persone, quindi non semina solo morte e malattia, ma rimette in discussione modi di vivere, costringe probabilmente a modificare modelli di sviluppo, assetti istituzionali e lo stesso contratto sociale che sta alla base delle democrazie. Il Covid-19 sta diventando un incubo sanitario, che allo stesso tempo moltiplica i problemi sociali da affrontare e mette a nudo persino le certezze consolidate nell’ormai lunga storia della democrazia.



“Pandemia e società. Che cosa è cambiato? Cosa resterà e cosa passerà?”: dietro a questi temi e a queste domande c’è l’angoscia, ma anche la possibilità di una risposta razionale per vincere una partita storica, che resterà nella memoria dell’umanità come la peste di Atene (quasi un contagio, misterioso ancora oggi) del 430 avanti Cristo descritta da Tucidide, quella della peste nera all’epoca del Boccaccio e quella della Milano del 1610 che Alessandro Manzoni mise al centro del suo grande romanzo storico.



Con la giusta sensibilità che contraddistingue la loro ricerca e le loro attività, la Fondazione per la Sussidiarietà, la Società Umanitaria di Milano e la Fondazione Leonardo Civiltà delle Macchine hanno inaugurato il terzo ciclo di formazione politica con il titolo dedicato al grande e tragico problema di attualità, appunto “Pandemia e società”.

Giorgio Vittadini, Luciano Violante e Alberto Jannuzzelli hanno dato il via, giovedì sera, a un dibattito approfondito, con relazioni brevi, ma anche con domande e risposte calzanti a Nadia Urbinati, che insegna Teoria politica alla Columbia University, e a un grande giurista come Alessandro Pajno, presidente emerito del Consiglio di Stato. Il taglio del dibattito è stato proprio quello che contraddistingue un approfondimento razionale, nel nome di quel metodo che ha già caratterizzato gli altri cicli di formazione politica e cioè “conoscere per decidere”.



Se Jannuzzelli, come presidente dell’Umanitaria, presenta il dibattito, ribadendo in questo modo il ruolo della grande istituzione milanese, Giorgio Vittadini sottolinea la diversa posizione culturale di chi partecipa a questa prima lezione del nuovo ciclo, ma nello stesso tempo cerca di trovare, insieme, una risposta a che cosa cambierà nella società e nella  politica con l’improvvisa irruzione nella vita di tutti noi della pandemia.

Ci sono appunto problemi che riguardano le decisioni politiche e le possiamo verificare anche guardando i contrasti di questi giorni, con le contrapposizioni tra Stato e Regioni. Ma coesistono anche i temi riguardanti l’organizzazione del lavoro con lo smart working, con l’irruzione della tecnologia del digitale che riguarda sia il lavoro, sia la vita sociale, sia l’istruzione, ma anche la democrazia di un Paese e i rapporti internazionali di fronte a una malattia che ha colpito tutto il mondo.

L’ex presidente della Camera, Luciano Violante, già impegnato sul rapporto “democrazia e pandemia”, mostra un inevitabile interesse e voglia di partecipazione a “pandemia e società”. “La pandemia – dice Violante – è l’elemento determinante della nostra epoca”. Violante sottolinea come questa pandemia ha sconvolto tutti gli aspetti della vita nella nostra epoca, dalle libertà personali agli affetti personali. La pandemia è arrivata all’improvviso, con una grande mortalità e, al contrario di altre epidemie, ha avuto un impressionante carattere globale.

L’ex presidente della Camera sottolinea: “Il Covid uccide e quindi le politiche anti-Covid sono politiche per la vita”. Lo Stato è intervenuto modificando, con le sue misure, alcuni capisaldi del contratto sociale di una democrazia. Il Covid, aggiunge Violante, ci ha messo di fronte a una realtà drammatica: ognuno di noi è ammalato o potenzialmente untore. Di fatto si vive una realtà drammatica, dove ogni aspetto della vita sociale di una democrazia viene sospesa per necessità.

A questo punto Violante, nella prima lezione, sollecita un dibattito con Alessandro Pajno e Nadia Urbinati. Ricorda un pensiero di Pajno: l’emergenza è una stagione nella quale il tempo ordinario viene sospeso e tuttavia è una stagione che si proietta oltre se stessa e porta preoccupazione, ma anche speranza.

Quello che comporta il Covid viene chiesto anche a Nadia Urbinati. E la politologa non si sottrae a un giudizio che d’acchito quasi spaventa: l’altro, l’altra persona, diventa, in un caso come questo, una sorta di nemico e si interrompono le relazioni. È una situazione radicale e temporanea. Ma Urbinati mette sul tavolo aspetti che non sono tutti negativi. Il primo è che la scienza, per la prima volta, viene usata da tutti e dalla politica in maniera sistematica. È come se la scienza, dopo centinaia di anni, abbia mostrato tutta la sua capacità. Questo è un fatto nuovo.

Il secondo aspetto che Nadia Urbinati sottolinea è il dolore che unisce l’umanità. E’ come se l’umanità si sentisse unita veramente, per la prima volta. Sono due aspetti importanti da mantenere.

Ma c’è un terzo elemento che va sottolineato. Noi abbiamo sempre pensato che fosse innanzitutto un dovere morale prendersi cura degli altri, ma in questo caso, paradossalmente, emerge un fatto di cui prendere atto: quello della convenienza, perché prendersi cura degli altri, di tutti gli altri, diventa utile e conveniente. Può darsi che sia spiacevole usare la categoria della convenienza, ma è il concetto più convincente per tutti.

Pajno incalza con altre due considerazioni: la pandemia ha un carattere totalizzante ed è storicamente la più globale, la più partecipata della storia umana. Pajno ritorna all’emergenza, che sospende il vivere comune, ma nello stesso tempo ci porta davanti ai problemi che avevamo anche prima e che non avevamo risolto. La pandemia, nella sua drammaticità, arriva ad accendere un faro sulla nostra vita economica e sociale, di fatto ci costringe a guardare i problemi del passato e ci invita a risolverli.

La pandemia, spiega ancora Pajno, diventa quasi una cartina di tornasole del nostro sistema pubblico. È la pandemia che mette a nudo il sistema pubblico, i ragionamenti locali di fronte a un fenomeno globale, ma nello stesso ci rivela che la transizione era già in atto e la pandemia la affretta. Basta pensare alla rivoluzione digitale.

Su questo si è sviluppata una parte del dibattito per capire la portata del digitale nella formazione delle opinioni, nella comunicazione, nella stessa democrazia, anche nel diritto all’istruzione. Il problema che la rete sia proprietà di grandi corporation globali pone problemi non semplici, ma il dibattito sull’uso del digitale, anche dopo questa parentesi del Covid, sarà inevitabile.

Nel dibattito c’è spazio ancora per Pajno di suggerire un coordinamento migliore, anche da un punto di vista legislativo e giurisprudenziale, nel rapporto tra il centro e le Regioni. In fondo, i problemi e i conflitti di questi giorni dipendono in parte da riforme, da confusioni legislative e da incompletezza di alcune riforme come quella del Titolo V della Costituzione.

Infine, si è fatto il punto sul tema delle libertà individuali, che non possono essere disgiunte dal concetto di diritto relazionale, e soprattutto sulla libertà, che sia per Pajno sia per Nadia Urbinati non è mai slegata dal concetto di responsabilità. Il problema, quindi, della libertà di spostamento che viene impedita non è una cancellazione della libertà, ma deriva dal senso di responsabilità in un determinato periodo di tempo, necessario e ben spiegato ai cittadini.

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