«Una manciata di paesi ricchi si sono abituati a dare lezioni agli altri: ora devono iniziare a prendere lezioni anche loro». La lente di ingrandimento in cui è finito l’Occidente è quella della filosofa politica Erica Benner, che in un’analisi approfondita per il Financial Times spiega ciò che abbiamo dimenticato della democrazia. Ora, infatti, combattiamo contro nuovi e vecchi demoni. Ci sono milioni di persone che bramano la libertà dal dominio autoritario, ma quando scoprono che i centri liberali sono afflitti da inflazione, scioperi, alti tassi di criminalità, violenza e disinformazione, iniziano a dubitare che la democrazia sia la migliore alternativa. Se la democrazia non è in grado di fornire leader o politiche che garantiscano una fiducia diffusa, allora come può aiutarci a superare le sfide globali? L’idea che la democrazia sia il miglior tipo di governo mai inventato, in grado di migliorarsi, sta tramontando. «Noi in Occidente siamo così abituati a contrapporre le nostre mentalità auto-lusinghiere da mondo libero con quelle meno illuminate altrove, che molti non riescono a vedere quanto siamo tutti simili: nei nostri utopismi progressisti comunisti o liberali, nei nazionalismi nostalgici e nelle paure di essere lasciati indietro nelle società ipercompetitive», scrive Benner.
Non c’è da stupirsi allora se nell’Europa centrale e orientale è emersa un’alternativa alla democrazia liberale. Basti pensare a Viktor Orban, che in Ungheria ha lanciato la “democrazia illiberale“. Nelle democrazie liberali si tende a spiegare il populismo illiberale come un fenomeno imposto dall’alto, «il lavoro di manipolatori politici di straordinario successo che distorcono anziché riflettere la realtà». Dunque, vengono incolpati falsi colpevoli, di solito immigrati e minoranze etiche, e vengono offerte cure irrealistiche ai disagi degli elettori. «Puntare il dito contro chi è ancora più vulnerabile dà ai sostenitori ansiosi un’illusione di potere». Ma per la filosofa politica «la manipolazione del voto è solo lo strato superiore di una storia più complessa di insicurezze materiali e psicologiche alimentate da una regolamentazione debole e dall’ampliamento dei divari sociali». È diventato sempre più evidente che in molte democrazie liberali una piccola percentuale di cittadini ha un accesso molto più facile ai prerequisiti per un’esistenza sicura – alloggio, istruzione, cibo, assistenza sanitaria – e che la competizione tra i ricchi per questi beni sta facendo salire alle stelle i costi per il resto.
LA LEZIONE DI ATENE SULLA DEMOCRAZIA
Come si inseriscono in questo contesto i timori sull’identità e le battaglie contro immigrati e minoranze etniche? «Le preoccupazioni legate all’identità incombono quando i meno uguali si uniscono per lottare per la propria parte». Secondo Erica Benner, per motivare le persone a continuare a lottare per la democrazia, dobbiamo andare oltre le ideologie moderne e recuperare alcune preoccupazioni fondamentali che le democrazie dovrebbero affrontare. La filosofa politica lo dimostra tirando in ballo cosa succedeva ad Atene prima della nascita della demokratia. Ci si rese conto di due cose. «In primo luogo, le società molto diseguali sono meno stabili, produttive e umane di quelle in cui le disuguaglianze sono tenute sotto controllo. In secondo luogo, non ci si può fidare di una singola classe o partito per effettuare i controlli in un modo che sembri giusto a tutti». Tornare alle origini, alle radici sane di idee e istituzioni che nel tempo sono diventare deboli è confuse può essere un bene. «Secondo la storia di Solone, la democrazia è stata concepita come una soluzione realistica a un problema concreto: come fermare l’infinito conflitto civile derivante dalle lacune nella sicurezza personale e sociale tra i più ricchi e gli altri».
“DENARO E ARMI AIUTANO DEMOCRAZIE SOLO A DIFENDERSI”
Questo, spiega Benner, è stato il comune senso democratico per secoli. Ma lo scetticismo sui vecchi modi di fare democrazia non è necessariamente una cosa negativa: la crisi dei modelli occidentali lascia spazio al pensiero creativo su quali tipi di cambiamento possono sostenere. «È tempo di abbandonare l’idea che le persone provenienti da paesi potenti siano qualificate in modo univoco per progettare e costruire democrazie per gli altri. Potrebbero avere denaro e armi per aiutare le nuove democrazie a difendersi. Ma senza la conoscenza delle storie e delle sensibilità locali, il denaro e le armi sono inutili. Quando gli outsider promuovono la democrazia con uno spirito impaziente o immodesto, il risultato prevedibile è una reazione illiberale, nazionalista o autoritaria». Inoltre, c’è l’urgente necessità di dare autorità e voce più efficaci alle persone all’interno delle vecchie democrazie di oggi per elaborare politiche volte a ridurre i divari nelle società squilibrate. Il cambiamento deve partire dai nostri atteggiamenti. «Assumiamoci anche una responsabilità più modesta e più vicina a noi: rimettere in forma le nostre società e la nostra psiche ipercompetitive».