Siamo tutti più o meno convinti che il mondo stia cambiando. E che lo stia facendo a una velocità superiore alla nostra capacità di comprendere e adeguarci. Eppure, sarà proprio questa capacità a determinare il nostro grado di adattamento e quindi la possibilità di sopravvivere ai rivolgimenti in corso e ai quali il Covid ha impresso l’accelerazione che ci stordisce.
Tra i tanti problemi da affrontare c’è certamente quello della rappresentanza. Riguarda partiti politici e corpi intermedi. Ovvero il nerbo del sistema democratico oggi in crisi di reputazione e di prestazione davanti all’efficienza e all’efficacia esibita dai sistemi autoritari in concorrenza. L’impressione, infatti, è che il modello occidentale sia diventato bello e impossibile.
Impossibile, perché non restituisce più alla società quello che promette. E cioè un ragionevole portato di norme e comportamenti che sia in grado di regolare la vita individuale e collettiva dando a tutti la possibilità di cercare e trovare la propria soddisfazione. O, perlomeno, di offrire questa possibilità al maggior numero possibile di soggetti in attesa di allargare il raggio.
Bello, perché nonostante i suoi limiti e le sue carenze resta comunque l’unico a salvaguardia delle nostre libertà. Così aperto e disponibile da aver addirittura esagerato nelle concessioni e nei privilegi fino a diventare il primo nemico di se stesso. Il troppo storpia anche nella permissione. E adesso l’area dei diritti, veri o presunti, ha di gran lunga superato quella dei doveri.
Si capisce bene come sia difficile attraversare la turbolenza in atto con una simile confusione a bordo. E qui, a mettere ordine, dovrebbero intervenire i corpi intermedi e i partiti politici attraverso una robusta iniezione di ragionevolezza e il richiamo a una responsabilità allargata. Così da funzionare da argine nei confronti delle pretese impossibili e concentrarsi sulle possibili soluzioni.
Dunque, la prima vera grande riforma dovrà riguardare i guardiani della democrazia. Una riforma che non potrà che avvenire dall’interno, alimentata e agevolata dagli elementi più dinamici e visionari delle tante formazioni che si contendono il campo. Come conciliare la capacità di aggregazione con quella propositiva sarà il tema da affrontare nei prossimi mesi.
I partiti, in particolare, hanno un compito ancora più gravoso. Devono sfuggire alla dittatura del consenso immediato, inseguito like dopo like su qualsiasi argomento voli sulle ali dei social, per rendere più stabile e riconoscibile ai cittadini elettori la propria offerta e chiarire quali siano i riferimenti in Europa. La confusione delle sigle regna sovrana e non è facile tentare gli accostamenti.
Alla classica divisione tra Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi (con qualche spruzzata di estremismi) noi rispondiamo con Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Coraggio Italia, Alleanza di Centro, Centro Democratico, Articolo 1, Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Liberi e Uguali, Italia Viva, Azione, Noi con l’Italia, Italia dei Valori, Nuovo Psi, + Europa e altro ancora.
Adesso questo pasticcio è coperto dall’iniziativa unificante di Mario Draghi che tutto e tutti porta a sintesi sulle uniche posizioni praticabili oggi in Italia se non si vuole sprecare l’occasione del Recovery Fund. È chiaro che bisognerà compiere scelte aggreganti per semplificare il sistema e renderlo compatibile con il quadro comunitario. Dobbiamo imparare a fare i conti con la realtà.
Anche se la storia non si fa con i “ma” dobbiamo chiederci dove staremmo adesso se Draghi non fosse esistito o non si fosse reso disponibile al servizio che sta rendendo al Paese (ma se non lo avesse fatto non sarebbe stato Draghi). E rispondere con preoccupazione che staremmo affondando nelle sabbie mobili perdendo di vista le ragioni della nostra salvezza.