L’involuzione della democrazia istituzionale non accenna a rallentare, con sviluppi sempre più preoccupanti. L’ultimo discorso televisivo del premier Giuseppe Conte – che più di un commentatore ha avvicinato a un caudillo sudamericano – è stato l’episodio più visibile, ma non l’unico.
Sui giornali di venerdì, ad esempio, spiccavano gli interventi di tre importanti procuratori della Repubblica: quelli di Milano e Napoli, oltre al capo dell’Antimafia nazionale. Tutti hanno rilanciato l’allarme sul rischio che i finanziamenti in arrivo per il contrasto all’emergenza economica vengano catturati dalla criminalità organizzata. Uno scenario in sé non infondato: però era esattamente quello che, appena ventiquattr’ore prima, aveva ispirato al tedesco Die Welt il titolo che incitava l’Eurogruppo a negare aiuti finanziari all’Italia “mafiosa”. Perché magistrati di primissimo livello si sono affannati a convalidare in diretta le tesi dei rigoristi europei, che continuano a frenare la solidarietà all’Italia focolaio del coronavirus? Perché il potere giudiziario – in un Paese spazzato da interferenze di ogni genere – sembra marciare frontalmente contro il potere esecutivo quando questo è impegnato a difendere gli interessi nazionali in sede Ue?
Il potere legislativo – il primo nell’architettura costituzionale italiana – intanto latita. Camera e Senato sono da settimane semi–chiusi: ufficialmente per l’emergenza sanitaria. Ma mano a mano che il lockdown si prolunga – a colpi di editti personali del capo dell’esecutivo – l’inattività di Montecitorio e Palazzo Madama mostra connotati sempre più ambigui. Sembra filtrare una collusione tacita fra coloro che non vogliono intralci parlamentari all’esercizio dei “pieni poteri” da parte del premier e quanti invece desiderano mantenersi in una comfort zone istituzionale di “responsabilità zero” (oggi politica, un domani potenzialmente legale). La strana voglia di Aventino rispetto alla “dittatura” di Palazzo Chigi sembra trasversale agli schieramenti. S’intravvede certamente in alcune settori della maggioranza, ma è tutt’altro che assente nell’opposizione di centrodestra, pur polemica sul “lockdown democratico”. E su questo sfondo spicca il ruolo sempre più controverso dei presidenti dei due rami del Parlamento.
Roberto Fico, il presidente pentastellato della Camera, ha rotto il silenzio sul Fatto Quotidiano all’indomani del contrastato vertice dell’Eurogruppo. “Basta vecchia Ue, ha già distrutto la Grecia” è stato il titolo titolo dell’intervista: una posizione di inequivocabile sostegno alla linea ufficialmente intransigente del premier sulla questione “Mes-eurobond”. Ma è proprio il difficile progress della trattativa fra Italia e Ue, in vista del decisivo vertice del 23 aprile,. ad aprire fratture sempre meno superficiali nella maggioranza: in particolare nei rapporti fra il premier (che pronuncerà l’ultima parola italiana fra i capi di Stato e di governo) e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che giovedì sera ha sottoscritto la risoluzione dell’Eurogruppo.
Il deputato Fico ha certamente il diritto-dovere di esprimere pubblicamente il suo punto di vista su un tema così cruciale. Ma il presidente della Camera Fico avrebbe il potere e dovrebbe forse sentire la responsabilità di convocare il governo a riferire preventivamente davanti a tutti i 630 deputati per discutere su Mes ed eurobond: meglio se con ampia discussione e voto finale su una mozione. Il premier olandese Mark Rutte, contestatissimo in Italia per il no agli eurobond, ha chiesto e ottenuto per due volte alla sua Camera dei Rappresentanti un voto di conferma sulla questione. Nel 2015 l’allora premier greco Alexis Tsipras convocò a tamburo battente un referendum popolare prima di affrontare il negoziato finale con i leader Ue.
All’indomani dell’Eurogruppo, anche il presidente del Senato, Elisabetta Casellati, è comparsa alla cronache: per una vibrata protesta rivolta al premier. Elisabetta Casellati attacca Conte perché due senatrici che si stavano recando a Roma per partecipare ai lavori del Senato, sono state oggetto di segnalazioni dalla Questura di Messina e Roma, nonostante avessero dimostrato di essere parlamentari nell’esercizio delle loro funzioni. La denuncia di Casellati ha rammentato al di là del singolo caso il “fondamento costituzionale” dell’attività dei parlamentari. E la posizione appare a maggior ragione di legalità sostanziale allorché le Questure rispondono oggi al ministro degli Interni Luciana Lamorgese: un prefetto, un non parlamentare in un esecutivo presieduto da un non parlamentare.
Nel frattempo il Senato stato teatro di un ennesimo passaggio inquietante sul piano istituzionale. Il decreto “Cura Italia” – emanato lo scorso 17 marzo con i primi provvedimenti di contrasto all’emergenza sanitaria ed economica – ha superato giovedì sera il primo voto di conversione (dopo l’ok della Camera sarà il primo atto di governo con forza di legge in tema di coronavirus in mezzo a una decina di atti della Presidenza del Consiglio o di singoli ministri). Ebbene il via libera è stato dato da 142 senatori favorevoli, contro 99 contrari e 4 astenuti. Una manovra che ha mobilitato 25 miliardi – a nuovo deficit e debito, più dell’ultima legge annuale di stabilità – è risultata infine approvata dal 45% dei 315 membri del plenum del Senato (321 compresi i senatori a vita).
Il fatto è passato inosservato come molti altri in questa fase di “quarantena democratica”: Sembra tuttavia difficile che gli italiani accettino in futuro l’obbligo di una nuova corona tax, come quella proposta dal Pd, in base a un decreto legge poi convertito alle Camere con il voto favorevole del 45 per cento. Ma già nell’immediato cosa possono pensare le stesse istituzioni europee di un Paese che sull’emergenza coronavirus assume decisioni in regime di “mutazione democratica”? In pochi sembrano interrogarsi su un’Italia che invia a trattare in Europa un premier non eletto e un ministro dell’Economia eletto in parlamento una quarantina di giorni fa con un’affluenza del 17,6% a un voto suppletivo.
I presidenti di Camera e Senato, espressione della sovranità costituzionale, dovrebbero essere i primi a interrogarsi, ogni giorno, sullo stato della democrazia in Italia.