A Londra hanno certezze, pesanti certezze per questo 2009 appena cominciato: a dispetto delle Borse che fingono euforia autoimposta, i dati macro dell’economia britannica appaiono sempre più devastanti. Entro il mese di giugno, infatti, 200mila delle 4,7 milioni di piccole imprese britanniche falliranno schiacciate dalla mancanza di credito bancario, dai debiti e dal rallentamento dell’economia e dei consumi.

Per capire l’entità di quanto comunicato dal Forum of Private Businesses basti dire che nel 2007 furono 13.500 le piccole e medie imprese fallite, mentre nel periodo di recessione del biennio 1991-92 furono 100mila. Insomma, un dramma. Tanto più che le pmi britanniche danno lavoro al 60% dei 22 milioni di forza lavoro totale del Paese.

Ma se i piccoli piangono, i grandi certo non ridono: anzi. Sono infatti 110 i miliardi di sterline di debiti contratti con le banche che alcune grande aziende britanniche dovranno ripagare o rinegoziare a condizioni molto onerose entro il 2009. Per capirci, Vodafone deve far fronte a 5,53 miliardi di sterline, la catena di supermercati Tesco 4,69, il gigante petrolifero BP 3,1, il canale satellitare BSkyB 2, il leader del tabacco Bat 1,9, International Hotels Group 2,14.

Insomma, guai in vista a ogni livello. Questo nel Regno Unito, Paese che più di tutti ha beneficiato del boom della finanziarizzazione e che ovviamente oggi paga il prezzo più alto all’esplosione della bolla.

E gli Usa? A forza di salvataggi di banche, acquisto di attivi tossici, ricapitalizzazioni, acquisti di mutui insolventi, prestiti a banche che non si prestano più denaro tra loro, gli Stati Uniti hanno impegnato 8,5 trilioni di dollari. Ovvero 8.500 miliardi, di cui 3-4 mila miliardi già effettivamente spesi. Soldi che non ha, soldi stampati e che saranno presi ai contribuenti: basti dire che quella cifra corrisponde ad oltre il 60% del Pil americano.

Chi paga? Per ora si spera che anticipino questa montagna di denaro i creditori, i capitalisti mondiali ancora dotati di soldi, acquistando i nuovi Buoni del Tesoro che gli Usa emetteranno: almeno 1.600 miliardi di dollari in più nel 2009, secondo gli analisti di Natixis e Royal Bank of Scotland.

Questa nuova colossale emissione americana concorrerà con quella che dovranno emettere gli europei (856 miliardi di euro di nuovi titoli di debito pubblico, ossia il 30% in più rispetto al 2008) e la Gran Bretagna (165 miliardi, il 114 per cento in più). I mercati dovrebbero assorbire queste alluvioni di debito pubblico e, paradossalmente, per adesso lo fanno. «Gli investitori sono talmente terrorizzati che non comprano altro che Bot dei vari Stati», dice Alain Gallon di Natixis.

Poiché hanno perso un sacco di soldi (e temono di perderne ancora) con gli altri prodotti finanziari, con le azioni, i derivati, le obbligazioni emesse da aziende, si rifugiano nel debito di Stato, proprio perché lo credono garantito dallo Stato. Ma quanto durerà il beneficio dell’indebitamento pubblico a basso costo? Finché dura la crisi, dicono gli analisti perché appena l’economia darà segni di ripresa, le obbligazioni delle imprese torneranno appetibili, ovviamente a più alto interesse e gli Stati dovrebbero offrire rendimenti molto più alti per invogliare compratori dei loro Bot (i ricercatissimi Buoni del Tesoro Usa rendono lo 0,2%).

Il problema è che i compratori del debito di Stato rischiano nel medio termine di non avere più soldi da prestare acquistando Bot. E chi sono questi compratori? Per lo più fondi pensione, compagnie di assicurazione, fondi sovrani petroliferi e asiatici, cinesi, russi, giapponesi: tutti colpiti dalla recessione e dal crollo del prezzo del petrolio. Ma se Usa e Inghilterra hanno scelto la strada dell’iper-inflazione abbassando i tassi primari rispettivamente allo 0,25% e al 2%, l’eurozona rischia la deflazione visto che il tasso di interesse resta proibitivo rispetto alle condizioni ambientali del mercato e dell’economia.

Questo nonostante la Banca Centrale Europea abbia appena prestato 5 miliardi di dollari ad uno Stato fuori dall’eurozona come l’Ungheria poiché questa ha stipulato mutui in franchi svizzeri e dunque il suo crollo avrebbe provocato il collasso finanziario della Svizzera. Altro Pese fuori dall’Ue. Follie di un mondo ancora in cerca di una via d’uscita.