I lettori di queste pagine sanno che lo stato di salute dell’economia tedesca è il termometro per misurare anche la temperatura dell’intero continente. Bene, martedì sul fronte macroeconomico ha suscitato grande delusione l’atteso dato sullo ZEW tedesco che si è attestato a 56 punti rispetto ai 57,7 del mese precedente e ai 59 del consensus.

L’indice è il risultato di un sondaggio condotto con periodicità mensile su un campione variabile di analisti e investitori istituzionali attraverso una serie di interviste che pongono quesiti sulla situazione corrente e sulle aspettative per il futuro. Lo ZEW fornisce previsioni sull’andamento dell’economia tedesca con un anticipo di circa sei mesi: pertanto esso è da considerarsi come un indicatore che anticipa le tendenze (o leading indicator). L’indice, elaborato dallo Zentrum fuer Europaeische Wirtschaftsforschung, è calcolato come differenza tra le risposte positive e negative fornite dagli intervistati (circa 350).

Insomma, nulla di cui rallegrarsi. In compenso in Borsa sembra regnare un ottimismo inspiegabile. Le opzioni call sul ciclo sono la norma, l’atteggiamento dei grandi broker è totalmente “bullish” e addirittura Morgan Stanley in un suo report invita a essere corti sulle utilities e lunghi sul consumer: grande entusiasmo, quindi, appelli alla caccia grossi sui listini come se i fondamentali fossero solidissimi e non ci si potesse fare del male.

Non è così invece, ci si lancia in pratiche aggressive per la classica legge del “colpisci e scappa”, fare il maggior numero di soldi possibile prima che arrivi la contrazione e con essa anche la grande batosta. Non fatevi ingannare da notizie come le trimestrali da sogno presentate ieri da Goldman Sachs e giovedì da JP Morgan: quei guadagni sono frutto del “muro di liquidità” statale che ha permesso al mercato di correre in questi mesi, ma quando questo finirà occorrerà fare i conti con gli assets tossici nascosti nei bilanci con trucchetti contabili quantomeno scandalosi e allora si tornerà a parlare di svalutazioni.

Non è pessimismo a oltranza, ma soltanto il frutto dell’esperienza fin qui vissuta all’interno della crisi: voi vi sentite garantiti dalle analisi dei report di Morgan Stanley, la stessa istituzione che nell’arco di dieci giorni ha rivisto al ribasso di 8 euro il prezzo dell’azione Fiat nello scenario migliore possibile? Certo, ha mantenuto invariato il target price a 16,8 euro e consentito al titolo di continuare a guadagnare, ma come si può dover limare una proiezione dopo così poco tempo? Cosa è accaduto? Forse le parole di Marchionne sul ritorno agli utili di Chrysler e il ritorno del titolo della casa di Detroit in Borsa non sono supportate da dati reali? Forse Morgan Stanley sa che il settore automotive sarà tra i più colpiti dalla recessione in ottobre-novembre negli Usa?

Chi lo sa, noi sappiamo solo che in pochi giorni lo scenario di massima del titolo è cambiato e in peggio: questo partendo dal presupposto che anche il target price appare, per le condizioni di mercato e l’entità sconosciuta dei possibili aiuti statali richiesti dal Lingotto, sovrastimato. Le manovre di stimolo, poi, non sembrano destinate a finire a breve e anche i tassi sembrano destinati a restare a zero, almeno così ha annunciato ieri la Fed: insomma, un rischio prima di trappola del debito e poi di iper-inflazione.

 

Ovviamente non si può pensare di chiudere i rubinetti di colpo, ma una exit strategy va assolutamente trovata, altrimenti si rischia di alimentare un mercato falso e parallelo che si trasformerà presto in bolla. Ne abbiamo già parlato ma giova ripeterlo: un analista della Fed di Atlanta ha tentato una simulazione per stimare l’effetto del ritardo con il quale le banche statunitensi fanno emergere le proprie perdite.

 

Beh, il risultato fa venire la pelle d’oca: nel comparto dei mutui commerciali, infatti, si anniderebbe una vera e propria bomba che non è ancora emersa per la natura stessa di buona parte di questi mutui, definiti “interest-only loans” proprio perché il debitore, per un periodo determinato, ripaga gli interessi e non la somma ricevuta.

 

Al di là del porre sotto la lente d’ingrandimento il grado di tecnicalità truffaldina con cui le banche hanno evitato di inserire nei bilanci le perdite relative ai titoli tossici che hanno come sottostante questa categoria di mutui, il documento della Fed di Atlanta ha stimato che le perdite delle banche sui mutui commerciali dovrebbero esplodere letteralmente l’anno prossimo: le dimensioni di questa parte del mercato del mortgage statunitense sono enormi e per le banche la perdita sarebbe valutabile, sempre secondo il report, in poco meno di 7mila miliardi di dollari.

 

A questo uniamo la bomba che si annida nella pancia delle banche centrali: la Bce continua a dare liquidità ai mercati prendendo in contropartita titoli, una cifra che supera i 1000 miliardi di euro e solo il 10% di essi sono titoli di Stato. Il resto sono obbligazioni strutturate abs con rating anche singola A. Prima o poi, però, tutti quei titoli torneranno sul mercato: come si farà allora a scaricarli di nuovo?

 

Con una nuova, pesantissima crisi. Occorre studiare una exit strategy, occorre chiedere alle banche di chiarire le entità degli assets tossici, occorre finirla con le emissioni d liquidità a pioggia. Altrimenti la crisi che stiamo vivendo sarà stata nulla in confronto.