Un picco. Al ribasso. Wall Street ieri presentava, a un’ora dall’apertura delle contrattazioni, perdite su tutti gli indici oltre il punto percentuale. La cosa stupisce fino a un certo punto, visto che lentamente ma in maniera sempre più decisa gli operatori che proseguivano con l’atteggiamento bullish rispetto al rally garantito dall’eccesso di liquidità hanno cominciato a cambiare strategia. E, soprattutto, a guardare ai segnali che arrivano da main street, ovvero da quell’America reale che è fatta di cittadini e piccole imprese.
È di ieri la notizia che le insolvenze sui mutui hanno toccato nel terzo trimestre di quest’anno il picco massimo della storia negli Stati Uniti: un balzo in avanti significativo anche rispetto al risultato del terzo trimestre, da molti ritenuto quello che doveva mostrare al mondo il fondo della crisi e aprire alla ripresa. Insomma, nella democrazia più forte e potente del mondo i cittadini vanno in default sulla carta di credito, non riescono a pagare le rate del mutuo, a rifinanziare lo stesso, a far ripartire i consumi visto che il tasso di disoccupazione sale in maniera esponenziale.
Siamo nella fase espansiva della crisi, ovvero nella sua diramazione da prettamente finanziaria a quasi completamente reale, macro: il problema è che se già sarà molto complicato per i governi far fronte ad altre eventuali richieste di aiuto da parte delle ancora traballanti entità finanziarie pena un innalzamento fuori controllo del debito pubblico, non si intravede una ricetta possibile per tamponare il loop di distruzione della produttività che sta erodendo le ricchezze di mezzo mondo.
A conferma di questo, le parole pronunciate ieri dal segretario al Tesoro Usa, Timothy Gaithner, secondo cui «senza un’ampia riforma del sistema finanziario, la ripresa economica da sola non sarà sufficiente ad assicurare stabilità e forza agli Stati Uniti. Sfortunatamente – ha proseguito – il sistema regolamentare che ha fallito in modo così terribile, portandoci alla crisi finanziaria è ancora lo stesso sistema che abbiamo adesso. La ripresa da sola non basta. Per assicurare vitalità, forza e stabilità alla nostra economia bisogna portare il sistema che regola la finanza nel XXI secolo. Abbiamo bisogno di una riforma finanziaria complessiva».
Insomma, non sapendo come mettere mano al disastro, si continua con la filastrocca populista del sistema che ha fallito: non è vero. Non ha fallito il capitalismo ma lo statalismo eccessivo di governi che, qualsiasi fosse la loro connotazione politica, hanno continuato a mantenere in piedi carrozzoni parastatali come Fannie Mae e Freddie Mac.
Come dicevamo qualche giorno fa il problema è il moral hazard, la mancanza di responsabilità: pensare che attività speculative come il naked short o lo shorting semplice oppure l’operatività sul mercato delle commodities con squeezes e corners abbiano potuto creare una crisi strutturale simile è semplicemente folle. E Geithner lo sa. O almeno così speriamo. Il problema è che, oggi come oggi, l’amministrazione Obama sembra unicamente intenzionata a lavorare sul rapporto privilegiato con la Cina: sacrosanto, visto che da Pechino dipende il debito esponenziale degli Usa ma questo duopolio potrebbe, nel tempo, creare assetti decisamente rischiosi.
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Lo ha detto chiaramente ieri anche il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, nel corso delle lezione speciale tenuta a Pechino alla Scuola Centrale del Partito Comunista Cinese. Il richiamo era evidentemente alla cosiddetta “Chimerica”, l’asse Pechino-Washington che, all’indomani della visita del presidente Usa Barack Obama in Cina, sarebbe sul punto di nascere per dirigere le sorti dell’economia mondiale. «Il G20 non può essere modificato togliendo lo zero e trasformandolo in G2. Come minimo serve un G3. Ma è meglio il G20», ha chiosato il ministro prima di dare la sua chiave di lettura della crisi.
Il ministro dell’Economia ha infatti riassunto ai funzionari del PCC le sue posizioni secondo le quali le origini della crisi non sono solo economiche, ma anche etiche: «Il capitalismo, per sua natura, è fatto di regole. Ma si è dimenticato che la speculazione può anche essere una parte, ma non è il tutto del capitalismo. Si è dimenticato che la funzione della società per azioni non è solo quella di creare valore per gli azionisti, ma anche di creare valore per i lavoratori e, in questo modo, per la società nel suo insieme. Ed è nato il “nuovo capitalismo”, quello “atipico”, degli hedge fund, degli equity fund, dei contratti derivati. Le nuove mega-banche globali sono state costruite come piramidi senza base e la finanza si è sviluppata al di fuori del regno del diritto, nell’anomia».
Ma la crisi è passata? Secondo Tremonti si è solo guadagnato del tempo: «La mano dello Stato ha creato fiducia, ha agito con politiche d’intervento nell’economia reale e ha adottato particolari politiche di intervento nel settore bancario e finanziario. Ma le Borse sono già ritornate ai livelli pre-crisi e i derivati sono tornati a crescere a una velocità spaventosa».
Sacrosanto, nella gran parte del ragionamento, visto che comunque sono tesi che su queste pagine porto avanti da tempo. Un unico appunto va mosso al ministro: questi Stati che hanno dato fiducia non ne hanno data forse troppa, con troppa generosità e senza pensare alle spaventose conseguenze che tassi zero e immissione di liquidità record può creare in mercati esangui e in cerca di rapida vendetta per rifarsi dalla perdite?
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Il problema è uno solo: se si continua a vedere come unica priorità quella di regolare i mercati, mettere paletti e steccati si continuerà a vedere le Borse crollare sotto dati come quello delle insolvenze sui mutui Usa. Gli hedge funds fanno soldi, ma ne creano anche molti, ne immettono molti nel sistema finanziario e sui mercati, creano occupazione: il problema sono le banche istituzionali che si sono comportate come hedge funds pur non essendolo.
I derivati, in sé e per sé, sono straordinari prodotti di protezione dal rischio, certo se li si usa spezzettandoli mille volte e mischiando ben bene il tutto senza sapere cosa poi ci sia dentro allora iniziano i problemi. I quali, ricordiamocelo tutti, sono nati dalla folle politica di “mutui per tutti” voluta da Bill Clinton, non certo dai contratti derivati in quanto tali: troppo Stato può uccidere, poco Stato può non essere sufficiente.
Occorre – e in fretta – trovare però la quadratura del cerchio: perché la fase espansiva della crisi è alle porte e il primo trimestre del 2010 potrebbe portare con sé oltre allo scoppio delle bolle formatesi i questi mesi, anche seri rischi di instabilità sociale. In Cina ma anche in America.