Signore e signori, la terza fase di crisi è servita. E per viverne e patirne tutti gli effetti non ci toccherà nemmeno attendere l’esplosione della prima bolla di liquidità all’inizio del prossimo anno: sta per innescarsi un domino di dimensioni spaventose come certificato, per una volta in maniera realistica, dal crollo borsistico di ieri in tutto il mondo – Usa esclusi poiché il Thanksgiving Day ha comportato anche la chiusura di Wall Street.

Anche i ricchi e i super-ricchi a volte piangono e rischiano di far piangere anche noi che tali non siamo. Regnava infatti il terrore ieri tra i mercati per i problemi debitori di Dubai World, la società di investimenti controllata dal governo di Abu Dhabi e con passività per 59 miliardi di dollari, che ha chiesto ai suoi creditori di congelare il pagamento dei suoi debiti, in vista di un drastico processo di ristrutturazione.

Ieri mattina, i crediti default swaps a cinque anni dell’Emirato del Golfo Persico, che esprimono il costo per assicurare il debito sovrano, sono balzati secondo i dati ufficiali di Cma Datavision a 469,5 punti base (la differenza rispetto a una settimana fa è di 300 punti base). Ma secondo altri trader, in realtà sarebbero a 550 punti base: vale a dire, servirebbero circa 500 mila dollari l’anno per assicurare 10 milioni del debito nazionale.

La cifra reale la sa solo chi sta speculandoci sopra in maniera folle ma, dai piani alti, trapela che non mancherebbe molto a una situazione di default tecnico di stile islandese: comunque, siamo sopra i 650 punti base. Il problema è semplice: la crescita esponenziale e rapidissima di Dubai è stata dovuta, oltre a indubbia capacità, a miliardi e miliardi di dollari ed euro prestati dalle banche.

Le quali, da ieri, vivono nel terrore di non poter rivedere quel denaro partito sotto forma di prestito e che potrebbe incagliarsi negli scogli del default: insomma, oltre alle svalutazioni di assets e titoli tossici ancora in pancia, anche una bella crisi di capitale. Quello che ci voleva.

Sono almeno nove le banche europee che ha fatto da capofila al prestito monstre da 5,5 miliardi verso Dubai World emesso nel giugno dello scorso anno ma, fanno notare nella City, chi agisce come bookrunners mantiene in pancia solo il 10-15% del prestito o dei bonds, il resto potrebbe già essere allegramente sparso sul mercato secondario e diffuso come uno spezzatino.

Hsbc, Lloyds e Royal Bank of Scotland hanno rifiutato di commentare, Ing si è detta non preoccupata vista l’esposizione limitata mentre sotto pressione sono Deutsche Bank, Standard Chartered, Barclays, Bnp Paribas, Credit Suisse e Societe Generale: ovvero, il gotha del sistema bancario europeo.

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Ma il problema non è solo di tenuta bancaria, che già sarebbe sufficiente a fare tremare le vene ai polsi. Abu Dhabi e altri emirati dell’area, infatti, sono presenti attraverso loro controllate in molte aziende europee: non a caso ieri Porsche perdeva il 10% in Borsa visto che proprio del 10% è la partecipazione al capitale della Qatari Investment Authority. Così come Daimler, controllata quasi al 10% dall’Abu Dhabi Aabar Investment, perdeva il 7%.

 

Insomma, lo tsunami potrebbe essere di quelli seri, anche per le aziende esposte in quei paesi attraverso quote di controllo e soprattutto se innescato in un quadro di instabilità generale per il sistema bancario. Se infatti mercoledì la Bundesbank ha finalmente ammesso di temere ingenti svalutazioni bancarie per il prossimo trimestre, ieri a gridare che il re era nudo ci ha pensato il re stesso, ovvero il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss-Kahn, secondo cui «metà delle perdite del sistema bancario globale potrebbe ancora essere nascosta nei bilanci, più in Europa che in America».

 

È la bomba ad orologeria bancario di cui vi parlo da mesi ormai: ora, purtroppo, c’è il certificato di autenticità della notizia timbrato Fmi. Troppo tempo è stato speso senza fare seri stress tests al sistema, troppi soldi gettati prima in salvataggi poi in speculazioni sul rally della liquidità: non si è pensato a una soluzione di bad bank, magari coordinata dalla Bce, che garantisse un mark-to-market calmierato e aiutasse il sistema a depurarsi dalle scorie.

 

Ora è tardi, perché non solo il malato è ancor più debilitato, ma questa nuova crisi potrebbe essere letale per qualcuno. Il bello è che le parole di Strauss-Kahn erano scritte nero su bianco in una bella intervista su Le Figaro, eppure nessuno sembra averle prese con la debite attenzione e preoccupazione: qualche miliardo di dollari di assets tossici sta per esplodere fuori dai bilanci ma qui, fino a ieri, si giocava a fare i broker d’assalto grazie ai soldi dei governi.

 

I regolatori, questa volta sì, dovrebbero andare a casa: uno dopo l’altro, senza distinzioni. In compenso l’oro continua ad abbattere un record dietro l’altro e supera anche la soglia di 1.195 dollari l’oncia, all’indomani di un nuovo massiccio acquisto da parte di una banca centrale asiatica di riserve proprio del Fondo Monetario Internazionale.

 

L’Fmi, che ha già venduto una parte della sue riserve d’oro all’India e alle Mauritius nel quadro di un programma che mira a ridurle a poco più di 400 tonnellate, ha infatti annunciato di aver venduto 10 tonnellate allo Sri Lanka per 375 milioni di dollari: ma il problema non sono le vendite istituzionali, legate alla natura intrinseca dell’oro come bene rifugio soprattutto da rischi inflattivi e turbolenze dei mercati, bensì la speculazione a breve che si sta compiendo esattamente come gli squeezes che si fanno sui futures petroliferi.

 

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I miei lettori, che ringrazio sempre per l’attenzione con cui seguono quanto scrivo, mi hanno spesso imputato un eccessivo pessimismo: può certamente essere vero ma quando, mesi fa, cominciavo a parlare di nuova bomba bancaria all’orizzonte e di atteggiamenti suicidi di governi e mercati mi limitavo a guardare la realtà, a leggere tra le righe e fare due conti.

 

Forse realismo fa rima con pessimismo, non so. Ma certo solo con il realismo si esce dalle crisi. E finora non lo si è fatto. L’anno che verrà, forse, sarà tardi per farlo in modo che non ci siamo vittime: qualcuno, a questo giro, non ce la farà.

 

P.S. Proprio ieri, casualmente, la Borsa di Londra – e quindi quella di Milano – hanno avuto operatività ridotta causa problemi tecnici: che strana coincidenza, non vi pare? Rifletteteci su nel fine settimana.