Ma quando è partita questa maledetta bufera che sta mandando sulle montagne russe le Borse di tutto il mondo e costringendo i governi a spingere sulla leva del debito pubblico per nazionalizzare le banche al fine di evitarne il fallimento?

La data che tutti ricordano è quella del mese di settembre del 2007 quando le fotografie delle file di correntisti fuori dalle filiali della banca inglese Northern Rock tradussero nel gergo quotidiano della disperazione i freddi termini della finanza. Ma il tutto è cominciato prima, il problema è che chi di dovere – ovvero analisti, operatori, banche centrali, società di rating, banche d’affari e non – ha preferito prendere tempo per cercare di tamponare una situazione che invece è sfuggita di mano con conseguenze che a oggi nessuno sa ancora prevedere.

La crisi ha radici antiche, già dalla primavera del 2007 i primi giganti del credito immobiliare statunitensi cominciavano se non a crollare a piangere per le perdite: il denaro facile non aveva fatto i conti con l’inaspettata inversione di tendenza dei prezzi delle case. Che, a dispetto delle incrollabili certezze d’Oltreoceano, cominciavano a scendere.

Giovedì 9 agosto 2007 può essere considerata una data simbolo dell’attuale caos, un tipico giorno d’estate con la gente in spiaggia e i telegiornali dominati da delitti truculenti, servizi sulle vacanze dei vip e bollettini sul traffico. Quel giorno però in Germania cominciarono a circolare anche i rumours sulla crisi di una banca: problemi seri visto che per qualche ora è stato chiuso il mercato interbancario. Bastava leggere le market-news su qualsiasi sito economico e finanziario per imbattersi in una prima conferma: la British Bankers Association comunicava che il tasso overnight
interbancario (il tasso di interesse che le banche applicano per i prestiti tra loro), il cosiddetto London Interbank Offered Rate (Libor) era salito dal 5,35% al 5,86%, il livello più alto dal 2001.

Cosa giustificava quell’incremento? I timori sui mutui immobiliari subprime americani, uno
spettro che già da febbraio agitava i mercati (febbraio, avete letto bene) e ad aprile aveva mandato a gambe all’aria la New Century Financial Corp, colosso finanziario del credito immobiliare. Era già un campanello d’allarme, ma a quanto pare non sufficiente.

Bastava però consultare qualche altro sito di financial-news nel primo pomeriggio per rendersi conto che la crisi era sistemica, non un temporale estivo. «Francoforte, ore 14.06: la Banca Centrale Europea ha assegnato fondi per 94,8 miliardi di euro in un’asta veloce al tasso fisso del 4% destinata a fornire liquidità al sistema. Come preannunciato la Bce ha soddisfatto per intero le richieste, giunte da 49 istituti bancari dell’area euro. L’operazione regolata oggi, prevede il rientro dei fondi iniettati domani». Più che un campanello d’allarme, una sirena spiegata.

E le banche, come reagirono? Un bagno di sangue. Bnp Paribas aveva congelato fondi per 1,6 miliardi di euro per problemi legati ai “subprime”. Commerzbank ammetteva di essere esposta al rischio subprime tramite le sue filiali di New York ma negava problemi seri (salvo dover poi ammettere che nel solo terzo trimestre del 2007 ha subito perdite per 291 milioni di euro per i subprime, obbligazioni di cui la banca tedesca è strapiena: 1,2 miliardi di euro di controvalore “in
pancia”).

Nibc Bank ha ammesso perdite per 137 milioni di euro legati ad asset-backed securities Usa: è esposta per 391 milioni di dollari al rischio “subprime”. Westlb, istituto di credito tedesco, dichiarava che la sua esposizione nei subprime era limitata ma non forniva cifre (anche in questo caso, a stretto giro di posta, l’istituto ha dovuto ammettere di aver registrato nei primi 9 mesi del 2007 una perdita pre-tax pari a 116 milioni di euro, con un impatto dovuto alla crisi sui mutui subprime Usa valutato pari a 355 milioni di euro). Il Westlb Mellon, un suo fondo, era stato addirittura congelato. Axa, la più grande assicurazione francese, comunicava di avere un’esposizione “bassa” al rischio subprime ma bastava guardare le cifre per scoprire che in realtà si trattava di qualcosa come 2,3 miliardi di euro.

E la Bce, cosa diceva? Taceva nel sonnacchioso pomeriggio di Francoforte? No ma restava sul vago, laconica come solo un’istituzione finanziaria può essere: «Il mercato mondiale dei prestiti a
elevata leva finanziaria ivi compreso un ampio segmento europeo mostra alcune analogie con il mercato statunitense dei mutui ipotecari di qualità non primaria (subprime), che potrebbe dar adito a timori, nel caso di una svolta avversa nel ciclo del credito».

E le valute, come si comportavano? L’euro quel giorno era in picchiata sullo yen, -2%: chiunque abbia un minimo di preparazione in materia finanziaria non poteva non accorgersi del fatto che questo significava che gli investitori compravano yen e vendevano euro per ridurre la loro esposizione al “carry trade” più rischioso, quello che vede i traders prendere a prestito valuta giapponese per comprare attivi a maggior rendimento denominati in altre valute.

Serviva Houdini per capire tutto questo? No. Tanto più che il 1° marzo 2007 – quindi con ampio anticipo sulla crisi attuale – lo yen aveva toccato il massimo da 11 settimane contro il dollaro e si era apprezzato anche contro l’euro, dopo che il calo sui mercati azionari globali aveva spinto gli
investitori a chiudere le scommesse aperte su un deprezzamento della valuta giapponese. Nemmeno a dirlo quel giorno le Borse erano tutte pesantemente in “rosso”, in compenso i Bot erano al 4,25%: livelli mai visti.

La crisi di liquidità non era più alle porte, era seduta sul divano in salotto: solo in Europa erano stati bruciati 380 miliardi di euro sulla capitalizzazione delle Borse e il mercato azionario del giorno successivo, il 10 agosto, appariva una vera e propria cartina di tornasole.

Nemmeno le voci di un possibile intervento di Fed e Bce a livello di taglio dei tassi aveva dato l’effetto sperato: alle 19.30 ora italiana Dow Jones, Nasdaq e Standard & Poor’s 500 perdevano rispettivamente lo 0,65%, lo 0,66% e lo 0,38%. In chiusura di contrattazioni Countrywide Financial, il più importante operatore Usa nel comparto del credito immobiliare, rendeva noto di trovarsi a fronteggiare «perdite senza precedenti che potrebbero ridurre sensibilmente i profitti». Home Bank Mortgage, colosso nei settori dei mutui, chiedeva invece la protezione “under chapter 11”, l’amministrazione controllata.

Tutto questo tra il 9 e il 10 di agosto 2007: perché attendere un anno abbondante prima di cercare qualche contromossa? Forse qualcuno su questa crisi ci speculava, anzi ci aveva investito a tavolino, per rimettere a posto qualche disequilibrio finanziario e geopolitico seguito all’11 settembre ma, come spesso accade, a maneggiare la dinamite si rischia di saltare per aria. Tutti. La guerra si può fare in molti modi e i subprime sono come proiettili: solo, uccidono in modo diverso.