I numeri, si sa, hanno grande impatto. Le cifre, più di mille parole, sanno dare l’impressione di concretezza, del saper gestire una situazione o una crisi – come in questo caso – di cui si conosce l’entità.
Bene, i 1000 miliardi di dollari stanziati dal G20 londinese per battere la crisi fanno impressione: anche solo a pronunciare quella parole, un trilione, non ci si capacità di quanto denaro questo in realtà sia. Bene, non per smorzare facili entusiasmi ma dall’ottobre 2007 ad oggi il mercato azionario ne ha persi undici di trilioni. Qualcosa come 2,6 soltanto dall’inizio di quest’anno all’altro ieri. Non lo dice il calcolo di qualche inguaribile “gufo” ma bensì i freddi e inoppugnabili dati del Dow Jones Wilshire 5000 index, l’indice che include la quasi totalità delle azioni quotate negli Usa. Il costo della crisi, poi, all’inizio veniva calcolato in 300 miliardi di dollari, poi in 500, poi in 700, poi in mille fino ad arrivare all’ultima stima di Noueriel Roubini che parla di 3,6 trilioni di dollari.
Numeri, come quelli usciti dal G20: gli uni e gli altri dicono molto ma non danno risposte. Come verranno spesi? Stimoli? Infrazioni dei criteri di sforamento del debito? La Gran Bretagna, cerimoniere dell’evento, si è sentita dire chiaro e tondo dal governatore della sua banca centrale, Mervyn King, che altre azioni sul debito non sono possibili pena il default. Lo Stato, insomma, ha già speso troppo, il 20% del Pil per l’esattezza.
Le Borse, dopo il rally di ieri, hanno aperto deboli o addirittura negative: normale che sia così, la firma del protocollo finale al G20 non sancisce la fine della crisi, lo sanno bene le banche. Le quali, in America, dopo essere state salvate con soldi dei contribuenti, hanno tutta l’intenzione di usare quel denaro per comprare assets tossici sul mercato in onore del piano Geithner: insomma, nulla più che una partita di giro.
Citigroup, Morgan Stanley, JP Morgna Chase e Goldman sono pronte ai nastri di partenza, attendono solo il via libera dal management e si ingozzeranno di titoli di cui nessuno conosce il valore e che nessuno è in grado di prezzare: il market value è andato, il fair value lo segue a ruota e il criterio del mark-to-market ci farebbe sprofondare nel ridicolo di banche costrette a chiedere in presto altri soldi allo Stato per comprare porcheria con la sua benedizione.
Vi sembra assurdo? Lo è e a pagare saranno per la maggior parte i contribuenti americani mentre le grandi banche non solo otterranno soldi di cui non necessitano o che non meritano ma li useranno per comprare pezzi di carte il cui sottostante non è la replica di un titolo o un’opzione bensì beni immobiliari. Insomma, i cittadini Usa attraverso le tasse stanno aiutando le banche che li hanno sbattuti fuori di casa perché non riuscivano a pagare il mutuo a comprare quello stesso immobile a prezzo di saldo: qualche anno e quando il mercato tornerà a tirare, state certi che il prezzo di una villetta unifamiliare in California non sarà quello odierno.
Inoltre quei 1000 miliardi di dollari stanziati tra squilli di trombe al G20 non esistono, nei fatti, almeno non tutti. Al punto 19 dell’accordo raggiunto a Londra, infatti, i leader hanno confermato il loro supporto a una «allocazione SDR che inietterà nell’economia mondiale 250 miliardi di dollari per incrementare la liquidità». Cosa siano gli SDR è presto detto: sono gli Special Drawing Rights, una moneta di carta sintetica emessa dal Fondo Monetario Internazionale di cui non si aveva notizia da mezzo secolo. Il tutto calcolando che il Fondo Monetario Internazionale ha portato a casa da Londra anche un altro bel risultato: 750 miliardi di soldi veri stanziati per il suo rafforzamento dalle varie nazioni. Ecco quindi arrivare la mitica e ormai mitologica cifra dei 1000 miliardi che ieri ha fatto impennare le Borse e fatto gridare al mondo che la crisi era ormai alla fine.
I “grandi” riuniti hanno trovato la medicina giusta per curare “l’influenza Americana”, come l’hai chiamata Silvio Berlusconi. E la ricetta è di offrire al FMI, ovvero a uno degli enti che doveva vigilare e non l’hanno fatto, la possibilità di dettare legge attraverso una sorta di nuova moneta universale, una valuta valida per tutti sotto il nome di SDR che diventerà il parcheggio privilegiato delle riserve delle varie banche centrali, Cina in testa.
In compenso gli hedge funds, poco più che cameo di questa crisi, verranno regolati con durezza totale e assoluta: peccato non siano stati loro a spingere i propri bilanci a leva del 1:30 e 1:60, sono state le banche statunitensi ed europee. Quelle che con i soldi dei salvataggi pubblici ora ricomprano schifezze o chiudono le linee di credito alle piccolo e medie imprese per fare cassa lasciando il mercato interbancario a languire: questo alla faccia delle belle parole sui Tremonti-bond o sulle roboanti conclusioni del G20. Il quale, vale la pena dirlo, è stato un successo solo per la burocrazia sovranazionale del Fondo Monetario Internazionale e per le banche, pronte a ricominciare il giro in giostra con soldi e garanzie statali. E hanno pure il coraggio di attaccare i paradisi fiscali (l’FMI da ieri è il più grande al mondo!), gli hedge funds e gli “speculatori” brutti e cattivi…
C’e’ poco da stare allegri ma se volete, cercate pure speranza nei volti sorridenti di Barack Obama e Gordon Brown. In attesa delle prime trimestrali in arrivo.