Barack Obama è decisamente simpatico. Racconta barzellette (vi ricorda nessuno?), scherza con le platee osannanti, gestisce la comunicazione come un affabulatore di lungo corso. Insomma, ciò che ci voleva dopo gli anni della rigidità protocollare – interrotta di tanto in tanto da qualche gaffe impagabile – dell’era di George W. Bush.
È dell’altro ieri, poi, la notizia in base alla quale l’amministrazione Obama avrebbe proposto regole più stringenti sui derivati, per i quali si potrebbe arrivare anche a una supervisione diretta. Obiettivo del piano è quello di aumentare la trasparenza in un mercato, quello dei derivati, opaco ma anche quello di cambiare le modalità di funzionamento di questo segmento dell’industria finanziaria, da più parti individuato come il cuore della crisi scoppiata lo scorso anno.
Insomma, prepariamoci al disastro totale se lo Stato deciderà di mettere mano direttamente nell’industria finanziaria nel tentativo di regolarla: mettere un cieco a gestire il traffico aumenta solo i rischi di incidenti e investimenti, infatti. Barack Obama ha due grandi difetti, però: primo, pensa ancora di essere in campagna elettorale, ragiona e agisce per promesse e slogan. Qualcuno gli dica che da 100 e rotti giorni è presidente degli Stati Uniti e che quindi è ora di comportarsi di conseguenza. Secondo, non dice la verità. Né al suo popolo, né al resto del mondo. Il suo progetto di porre sotto controllo statale l’industria dei derivati è infatti il frutto di un fallimento colossale che Obama non vuole rivelare e che intende ripagare con la stessa moneta.
Nel silenzio pressoché generale dei media, infatti, Mark Patterson, presidente della MatlinPatterson Advisers, ha detto a chiare lettere nel corso del forum organizzato dalla Qatar Global Investment che il programma Tarp di salvataggio delle banche fortemente sostenuto dal segretario al Tesoro, Tim Geithner, è di fatto un sussidio a fondo perso che gli americani pagano a Wall Street affinché questa continui a fare affari senza rischi di intrapresa: «Dobbiamo dirlo, stiamo ricevendo un sussidio. Gli americani sappiano che stanno mettendo il 40% dei loro soldi e non avranno nulla indietro a livello di assets».
Disarmante onestà. Tanto più che Patterson è l’esempio lampante di come funzioni questo circolo vizioso: con i soldi del Tarp, ovvero dei contribuenti, si è comprato la Flagstar Bancorp in Michigan, istituzione finanziaria finita in disgrazia ma forte di riserve in eccesso dai fondi pensione. Detto fatto, Patterson senza sborsare pressoché un dollaro ne è titolare all’80% mentre il governo, attraverso il Tarp, ne controlla solo il 10%. «Diciamolo chiaro, lo Stato cerca ora di correre ai ripari vendendo alla gente la barzelletta che il sistema bancario è ancora valido ed è ora di ripagare quanto ottenuto. Bugie, le banche in America sono pressoché tutte insolventi», ha dichiarato Patterson di fronte a una platea esterrefatta.
«Sarebbe più onesto – ha proseguito Patterson – fare come ha fatto la Gran Bretagna, ovvero nazionalizzare le istituzioni che si sono salvate: qui invece si fa la fortuna degli speculatori a spese dei contribuenti. Tanto più che gli hedge funds ci metteranno molto, molto tempo per potersi riprendere dallo shock e dall’emorragia di capitali degli ultimi diciotto mesi. Questa non è una crisi a “V”, ovvero con un picco profondo e una rapida risalita. È più complessa e ha visto distrutte completamente le aziende che hanno operato eccessivamente sulla leva e che ora dovranno affrontare default a catena. Prepariamoci all’epoca dei leverage buyouts. Gli alpha hedge funds non potranno tornare ad operare finché non riusciranno a rifinanziarsi e temo ci vorrà parecchio tempo perché chi ha scommesso sulla leva ha visto tagliate non solo molto aspettative, non solo molti soldi ma anche molte teste».
Tutto questo in un contesto generale tutt’altro che rassicurante visto che gli Stati Uniti hanno già speso il 29% del Pil nel tentativo di salvare il sistema contro l’8% speso nei primi anni Trenta facendo schizzare il balance sheet della Fed da 900 miliardi a 2,7 trilioni: insomma, prepariamoci a un tasso di inflazione alle stelle nei prossimi tre anni.
E a conferma di quanto scritto pochi giorni fa, ovvero l’ipotesi di una crisi a “w” che porti a un terzo picco di crisi bancaria prima dell’estate, Patterson sembra decisamente concordare: «Noi siamo stati short su questo rally poiché lo abbiamo giudicato inaffidabile: abbiamo aggiunto posizioni corte per sette volte e stiamo ancora mantenendole». Siete avvisati, il terzo picco potrebbe anticipare il suo arrivo a metà giugno. Uomini come Patterson difficilmente lanciano freccette, scommettono solo sul sicuro.
Chissà se Obama e Geithner avranno il coraggio, prima di allora, di dire ai propri connazionali-contribuenti come stanno le cose: ovvero, che il governo ha sbagliato tutto e ha fatto l’interesse solo di Wall Street. Yes, he can.