Non so voi, ma io non ho mai creduto alle coincidenze. Quindi mi è parso molto strano ieri apprendere dal Wall Street Journal che ufficiali dell’ufficio del procuratore di Brooklyn e della Sec hanno interrogato diversi dirigenti e broker di Lehman Brothers riguardo la natura della vendita di auction-rate securities, ovvero quei simpatici prodotti che venivano impacchettati e venduti a ignari clienti spacciandoli come sicurissimi. Da tutti, non solo da Lehman.

Le banche cominciarono ufficialmente a non trattarli più all’inizio del 2008 ma quelle porcherie, insieme a molte altre, intasarono il mercato per mesi: ricordate il fatto che fino a due giorni dal crollo Lehman, quando i cds erano le stelle, il consorzio Patti Chiari li rifilava allegramente ai clienti? Ma solo ora i solerti giustizieri di New York vanno a chiedere conto, interrogando i dirigenti riguardo il loro grado di conoscenza dei guai in cui versava il mercato.

Ma guarda, Lehman è pronta a dare battaglia in tribunale per ottenere un risarcimento miliardario da Barclays per l’acquisizione sottocosto del suo ramo brokeraggio ed ecco che la madre di tutte le fabbriche di derivati torna ad essere il capro espiatorio preferito. È strano, non vi pare? Come appare strano il timing con cui Standard&Poor’s ha deciso di declassare il rating della Gran Bretagna da stabile a negativo, mettendo seriamente in dubbio la sua valutazione “tripla A” a causa dell’aumento del suo debito pubblico dopo le continue iniezioni di denaro pubblico nelle casse delle banche.

Contemporaneamente a questa decisione, giunta guarda caso nel corso della peggior crisi istituzionale del paese dai tempi di Cromwell, il Fondo Monetario Internazionale promuove l’azione del governo Brown ma avverte il Cancelliere dello Scacchiere che sarà probabilmente obbligato a nazionalizzare altre banche per evitare il collasso. Siamo in pieno 1931 se qualcuno non se ne fosse accorto e le varie istituzioni chiamate a vigilare e trovare soluzioni per questa crisi sembrano invece mosche impazzite intrappolate sotto un bicchiere: tutti in ordine sparso, tutti con ricette diverse.

Una cosa è chiara e inequivocabile, però: giugno sarà il mese deputato alla resa dei conti in Europa. Non tanto per le Borse, quanto per la tenuta del sistema bancario. Sempre stando a quanto riportato dal Wall Street Journal, la situazione in America è un po’ diversa da quanto emerso dagli stress test condotti da Geithner e dal sistema della Fed sulle prime diciannove banche del Paese.

Il quotidiano ha infatti deciso di compiere in proprio un’indagine simile sulle 900 istituzioni creditizie di medie e piccole dimensioni: sapete cosa è emerso? Seicento su novecento di queste banche non hanno superato il test e hanno quindi bisogno, entro il dicembre di quest’anno, di capitali aggiuntivi per 200 miliardi di dollari, in gran parte legati alle probabili insolvenze dei mutuatari o altri rami dell’attività creditizia.

Non male, soprattutto se si parte dal presupposto che anche lo stress test ufficiale sulle prime diciannove banche del paese non aveva dato risultati poi così incoraggianti: dieci di queste, se si realizzasse lo scenario peggiore previsto dal test, avrebbero bisogno di capitali aggiuntivi per 566 miliardi di dollari: 35 miliardi per la sola Bank of America, 13,6 miliardi per Wells Fargo.

E in Europa? Da Basilea si prende tempo e si prospettano stress test simili a quello Usa per il mese di settembre: certo, prima ci sono le elezioni europee e poi le meritate vacanze dei banchieri. C’è tempo! Poco, a dire il vero visto che il Fondo Monetario Internazionale – entità che spesso e volentieri ha sottovalutato o sbagliato del tutto le proprie valutazioni – si dice abbastanza sicuro nell’attribuire perdite maggiori alle banche europee rispetto a quelle americane, 1.200 miliardi di dollari contro poco più di 1.000. Dove sono, quindi, questi titoli tossici? Chi li ha in pancia? Dov’è l’esposizione maggiore?

Domande che dovrebbero interessarci molto tutti quanti, ministri delle Finanze e Bce in testa ma che invece restano inevase. Fino a quando – e non sembra mancare molto – esploderà la bolla, destinata a innescare anche la crisi assicurativa: allora sì che le agenzie di rating avranno un bel da fare con i downgrading e i governi con i tentativi di tamponare la situazione.

Ma i soldi non ci sono e se anche ci sono portano con sé un devastante effetto collaterale, il default sul debito sovrano: controllate i cds dei vari Stati europei nelle prossime giornate, lasciate stare indici azionari e valute. La speculazione è ripartita in grande stile, si va sulla giostra con i petrolio e si scommette short sui cds: significa che i fondamentali stanno saltando o sono già saltati. Ma qui, nella sicura casa europea, tutto tace.

Non disturbate il manovratore, please! Almeno fino alle europee, poi ci sarà davvero da ridere nel vedere l’asse renano cercare di salvare le proprie banche e i neo-membri dell’Est cercare l’appoggio britannico per evitare di andare a gambe all’aria. Un esempio? Seguite l’andamento dei cds ungheresi, vi fare un’idea da soli.

Quando poi Strauss-Kahn chiede scusa per la “gaffe” sul default sovrano dell’Austria, significa che Oltralpe stanno messi davvero male. E anche da noi, qualche capitano coraggioso dell’internazionalizzazione, comincia a tremare e cercare sponde romane. Ma di questo, sui giornali, non si parla.