L’Irlanda è fallita. State tranquilli, non leggerete questa notizia su nessun giornale, né la sentirete all’interno di nessun telegiornale: per ora, siamo ancora nella fase del tentativo disperato di rianimazione, seguirà l’accanimento terapeutico. Poi, finalmente, si guarderà in faccia la realtà: e, state certi, l’elaborazione del lutto questa volta sarà ben più pesante di quella seguita al “decesso” economico della Grecia.
I costi di Dublino per finanziarsi sul mercato hanno toccato ieri un nuovo massimo storico e, indicatore ben peggiore, il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ha reso noto che il blocco dell’eurozona sarebbe pronto ad agire se l’ex tigre celtica dovesse necessitare di un salvataggio. I funzionari europei hanno dichiarato chiaramente che stavano monitorando la situazione irlandese molto attentamente da giorni e il quotidiano tedesco Handelsblatt ha riportato una dichiarazione anonima filtrata dal governo tedesco in base al quale il piano di salvataggio potrebbe essere attivato “molto velocemente” se necessario.
Ieri lo spread tra bond decennale irlandese e il bund ha toccato quota 680 punti base, nono record negativo di fila. Ad oggi il governo irlandese si affida all’orgoglio e combatte con le unghie e con i denti per smentire la necessità di un piano in stile greco ma i mercati sono decisamente scettici sulla sua capacità di far approvare dal Parlamento la finanziaria il mese prossimo. Insomma, allarme rosso aggrava il piano di salvataggio permanente imposto da Angela Merkel, in base al quale i detentori di debito privato dovranno pagare la loro parte all’interno delle procedure di emergenza, leggi haircut sui rendimenti obbligazionari. Anche se Berlino ha sottolineato più volte che questo meccanismo non sarà applicato al debito già esistente, il mercato teme un effetto domino all’interno dei periferici, poche settimane dopo quello che sembrava il turning point, ovvero la svolta dopo la crisi nera.
Parlando a Seul al summit del G20, José Manuel Barroso è stato chiaro: “Ciò che è maggiormente importante è che siamo in possesso di tutti gli strumenti essenziali come Unione europea ed eurozona se necessario ma non intendo dare adito ad alcuna speculazione”. Le azioni delle banche irlandesi mercoledì hanno conosciuto un vero bagno di sangue, con Allied Irish Bank giù del 5,6 per cento e Bank of Ireland giù dell’8,9 per cento. “E’ lo stesso trend che abbiamo già visto, il mercato è molto, molto nervoso”, ha dichiarato ieri Gavan Nolan di Markit.
Ad oggi sia gli irlandesi che l’Ue che l’Fmi hanno negato che Dublino abbia fatto richiesta di accedere al nuovo piano di salvataggio (EFSF) posto in essere in maggio per evitare il contagio greco: in effetti, rispetto ad Atene, Dublino ha fondi fino ad aprile-maggio del prossimo anno, quindi una crisi di liquidità non appare imminente ma non sono i numeri a dettare le regole in questi giorni, bensì le percezioni. L’Fmi, tentando di gettare acqua sul fuoco, ha dichiarato che i mercato stanno sovrastimando i rischi di default in un numero di paesi, portando con dati a conforto il fatto che negli ultimi vent’anni si sono registrati 36 casi di spread schizzati sopra i 1000 punti base e sono in sette casi si è registrato un default. Negli altri 29 casi, gli spread sono poi rientrati a livelli alti ma gestibili senza il fallimento: peccato che siano il 90 per cento degli analisti interpellati da Cnbc ha dichiarare che se i costi irlandesi per finanziarsi sui mercati non si stabilizzeranno in fretta, Dublino sarà obbligata a chiedere l’intervento del piano di salvataggio.
Con la liquidità nel mercato obbligazionario ormai prosciugata, molti economisti cominciano a dire apertamente che il paese potrebbe necessitare anche una ristrutturazione del debito, in particolar modo se le banche soffriranno nuove, ulteriori perdite. Inoltre, gli analisti continuano a porre l’accento sulla debolezza politica del governo irlandese e sulla sua incapacità di far votare la finanziaria entro il 7 dicembre, visto anche il fatto che la prossima elezioni suppletiva rischia di ridurre la maggioranza parlamentare a soli due seggi.
Insomma, senza un’elezione anticipata che offra un governo forte del mandato popolare per portare avanti le pesanti misure di austerity richieste (taglio ulteriore della spesa e aumento delle tasse), i mercati non si calmeranno. Se l’Irlanda cadrà, Portogallo e Spagna finiranno nel mirino con un’impennata dei rendimenti e dello spread sul bund, concentrando tensione sull’eurozona e rischiando un effetto domino con implicazioni a livello globale. Ormai siamo agli sgoccioli, l’allucinante politiva di tassi reali negativi posta in essere dalla Bce per far contenta la Germania nello scorso decennio ha reclamato la prima vittima. Che sia l’ultima, è tutto da vedere. Quando Barroso si spinge a dire "siamo pronti", vuol dire che formalmente la richiesta di salvataggio è già sul suo tavolo e su quello del Fmi a Washington. In compenso, a Seul si parlerà di sesso degli angeli e scorrettezza della Fed…
P.S. Se non vi fidate di spread e cds, troppo ballerini e facili prede di speculazione e tensione, date un’occhiata all’oro, capace di rompere un livello record al giorno. L’indice di riferimento al
mercato di Londra (Gold afternoon fix) è creciuto del 25% nel giro di un anno, il rischio di bolla sta divenendo reale in ossequio alla volontà degli investitori di tesaurizzare le aspettative di nuove crisi. Gli investimenti globali in oro nel secondo trimestre del 2010 sono aumentati del 118 per cento arrivando a quota 40 miliardi di dollari, di cui a metà circa è rappresentata da Etf (fondi di investimento legati all’andamento della quotazione). Ma non è soltanto la domanda di "oro di carta" a crescere: negli ultimi mesi, a testimonianza dell’incertezza che ancora prevale sui mercati, si registra una crescita della domanda di oro fisico da investimento.
Lingotti di varia pezzatura e monete auree da tenere in cassetta di sicurezza rappresentano il massimo dell’investimento rifugio perché tutela dal cosiddetto "rischio controparte", (come l’eventuale fallimento della società che vende Etf): questo sta succedendo anche in Italia dove diversi grossisti stanno iniziando a vendere anche a privati lingotti a 24 carati (il cosiddetto oro fisico da investimento che, in base a una legge del 2000, è esente da Iva). È il caso della
milanese Compagnia italiana metalli preziosi: «Il rally dell’oro ha inevitabilmente fatto calare la domanda tradizionale – spiegava ieri l’amministratore Salvatore Giuffrida al Sole24Ore – specialmente da parte degli orafi.
Negli ultimi tempi sta crescendo una clientela di privati che acquistano a scopi di investimento. Per ora è una nicchia di mercato che fa ordini contenuti ma non mancano le eccezioni: l’anno scorso un privato ha comprato 20 chili: allora il prezzo si aggirava
intorno ai 20 euro al grammo, oggi è sopra i 30». Il conto è presto fatto: a fronte di un investimento di 400mila euro, la plusvalenza è del 50 per cento, ovvero 200mila euro. Ma non serve il sottoscritto
per capirlo: quanti nuovi negozi "Compro e vendo oro" avete visto spuntare negli ultimi mesi nelle vostre città? Quelle aperture, quelle insegne, sono il miglior termometro della crisi che ancora incombe e sta per peggiorare ulteriormente.