Sulla crisi irlandese – e, più in generale, su quella del debito sovrano nell’eurozona – sapete tutto quello che c’è da sapere. O quasi tutto. C’è infatti una seconda ragione inconfessata che giustificherebbe l’attendismo un po’ masochista del governo di Dublino nel richiedere l’accesso al fondo di salvataggio europeo.
La prima, nota a tutti, è il fatto che in questo modo l’Irlanda perderebbe la sovranità fiscale e dovrebbe sacrificare sull’altare del salvataggio la corporate tax al 12,5%, ovvero la dinamo che ha attratto investimenti esteri diretti da record e tramutato l’isola di smeraldo nella (fu) tigre celtica. Ma ciò che Brian Cowen e soci vogliono occultare è lo stato di salute pressoché disperato di Allied Irish Banks, la seconda banca del paese: ora capirete perché, pur negando la necessità del piano di bail-out, Dublino ha parlato per giorni di “contatti” a livello internazionale per quanto riguardo il comparto bancario.
E cosa sta succedendo alla già poco liquida Allied Irish? Nulla di speciale, soltanto deve ripagare entro la fine di quest’anno qualcosa come 1,8 miliardi di dollari di bond. Denaro fresco frutto di capitalizzazione sui mercati, visto che la banca non vuole subire il destino di Anglo Irish Bank ed essere nazionalizzata: non può farcela ma, guarda caso, ora il governo si è accorto che non è in grado di salvarla neppure lui perché il primo bail-out – qualcosa come circa 60 miliardi di euro – ha già fatto schizzare il deficit al 32% del Pil nazionale. Detto fatto, si stabiliscono “contatti” internazionali.
Insomma, Allied Irish può essere il detonatore del default, visto che vanta una capitalizzazione di mercato di 418 milioni di euro e che quest’anno ha consentito ai compratori il diritto di rivendere i bond detenuti al valore facciale in date prefissate precedenti alla scadenza della maturazione finale. Cosa significa? Semplice, che un detentore ha richiesto il pagamento dei suoi bond floating-rate da 120 milioni di euro con scadenza febbraio 2011 per il 30 di novembre prossimo: dieci giorni e un quarto della capitalizzazione potrebbe andare in polvere. Lo conferma Simon Adamson, analista bancario alla CreditSights Inc. di Londra: «Il pagamento è un obbligo contrattuale quando il bond viene rimandato all’emissore: il mancato pagamento potrebbe creare un situazione di default».
Già, le banche irlandesi stanno per pagare a caro prezzo la loro volontà di piazzare il debito: non bastava la garanzia governativa sulle notes a dodici mesi o meno, pur di raggranellare denaro gli istituti hanno offerto ai compratori anche l’opzione put come garanzia ulteriore. Detto fatto, il primo grosso detentore ha fatto valere quell’opzione put. Terminata la speranza di poter raggranellare i soldi sul mercato vendendo assets, i vertici dell’istituto hanno prima cercato di intorbidire le acque annunciando stress-test indipendenti sui propri bilanci per smentire le voci di difficoltà immediate, poi hanno suonato alla porta del governo dicendo la verità. Ecco spiegati, i famosi “contatti” internazionali.
Un banchiere popolare descrive così a ilsussidiario.net la situazione: «Schematicamente: o rimborsano ma non hanno la liquidità, o non rimborsano e quindi dichiarano di fatto default. A questo punto se arriva l’aiuto comunitario, sottoforma di liquidità fresca, il problema viene superato. Se poi l’aiuto rafforza il capitale, i mercati possono anche valutare di sottoscrivere nuovi bond, certamente a tassi più alti. Insomma: bisogna sempre ricordarsi che il primo problema da governare per una banca è la liquidità, perché le banche saltano quando vanno in crisi di liquidità (anche per Lehman Brothers fu così). Il problema è l’atteggiamento dei politici irlandesi: sembra che non sappiano che il debito del paese è la somma di debito pubblico, privato e bancario e quindi quando leggiamo che Brian Cowen, il premier irlandese, dichiara che fino a giugno non deve emettere titoli di stato, non so se ridere o piangere! Ragionano come se avessero il solo problema del rientro del deficit… D’altro canto, se l’avessero saputo, avrebbero visto per tempo che le banche irlandesi erano arrivate a livelli di indebitamento e di levereging quasi islandese: ma questo per anni non l’ha visto nessuno, neanche le varie authorities, perché ci si è trastullati con l’idea che la liquidità fosse divenuta una commodities». Un libro stampato.
Forti dubbi sullo sviluppo della situazione attuali li ha mostrati anche Simon Ward, capo economista alla Henderson Global Investors di Londra, anch’esso contatto dal nostro quotidiano: «Un salvataggio irlandese non risolverà il problema fondamentale, ovvero il fatto che la crescita economica nei periferici è stata annullata da una combinazione di contrazione monetaria e rafforzamento dell’euro. Senza crescita, i piani di consolidamento fiscale non funzioneranno, spingendo altri paesi sulla linea del fuoco».
Per primi, Spagna e Portogallo. Per Citigroup, infatti, il salvataggio irlandese rischia soltanto di far spostare le attenzioni dei mercati verso altre nazioni in una sorta di domino. Ian Stannard di Bnp Paribas va oltre, dicendo chiaramente che il fondo di salvataggio europeo da 440 miliardi di euro non è stato creato per essere utilizzato veramente: «L’esistenza stessa del fondo, nell’intenzione dei regolatori, doveva essere sufficiente a livello di deterrenza verso i mercati, ma questo non è accaduto. È soltanto una questione di tempo prima che l’economia spagnola ricaschi in recessione e quello sarà il momento in cui i mercato la metteranno nel mirino». Martedì scorso l’asta di bond a dodici mesi ha registrato tassi del 2,36% contro l’1,84% pagato in ottobre, questo nonostante i mercati diano già per cosa fatta il salvataggio irlandese: per gli analisti, Spagna e Portogallo devono essere molto cauti riguardo quanto si augurano.
E in effetti, anche i costi per prendere denaro per Lisbona hanno visto un incremento ulteriore all’ultima asta di bond a dodici mesi per 750 milioni di euro. Le obbligazioni, con scadenza 18 novembre 2011, sono state emesse con un rendimento medio del 4,813% a fronte del 3,26% pagato in un’altra asta tenutasi il 3 novembre scorso. Le richieste sono state 1,8 volte superiori all’offerta, comparata con una bid-to-ratio di 2,2 volte il 3 novembre scorso. «Questo incremento dei rendimenti è stato accentuato e sorprendente poiché i mercati puntavano a valori attorno al 4,3-4,4%», ha dichiarato a Bloomberg, Felipe Silva, gestore portafoglio obbligazionario, tra cui bond portoghesi, al Banco Carregosa di Oporto.
Nonostante questo, per il ministro delle Finanze, Fernando Texeira dos Santos, «il Portogallo è in grado di finanziarsi sul mercato»: a che prezzo, però, lo avete visto. Lo spread tra il decennale portoghese e il bund ha toccato quota 410 punti base, dopo aver toccato il record di 484 punti base l’11 novembre scorso. Ma a dare un quadro più generale della situazione che stiamo vivendo, ci ha pensato Simon Derrick della Bank of New York Mellon nel suo report di ieri mattina: «I manager di hedge funds stanno già spostando la loro attenzione verso l’argomento del come – e del se – una crisi periferica possa passare dall’Irlanda a Spagna e Portogallo portando a una crisi di sistema dell’eurozona intera. Per capire meglio, dobbiamo dare un’occhiata ai dati di flusso di fixed income e monetari europei, specialmente gli investitori esteri.
Il primo dato interessante è fornito dal fatto che una significativa uscita degli investitori dall’obbligazionario irlandese è cominciata realmente soltanto da una settimana e mezza: ci dimostra come il mercato sia limitato e quanto velocemente è evoluta la crisi irlandese. Un secondo dato da notare (e questo è in marcato contrasto con il grafico pubblicato e che mostra le azioni di tutti gli investitori nei confronti del debito italiano) è quello che vede gli investitori internazionali intenti a ridurre la loro esposizione al debito italiano a metà ottobre pur mantenendo posizioni long. Terzo, il cambio di comportamento degli investitori esteri verso le obbligazioni italiane è riflesso dalla loro attività contemporanea sul mercato spagnolo.
Cosa ci dice tutto questo? Con i grafici che dimostrano come le vendite nette su Grecia e Portogallo abbiano ormai compiuto la loro corsa nella metà di quest’anno, è palese che ora il focus si sposta sull’Irlanda e la Spagna. Più in generale questi dati dimostrano come gli investitori internazionali abbiano largamente ignorato la situazione all’interno di questi mercati, almeno fino alle ultime settimane quando hanno sì scaricato posizioni di esposizione, ma mantenendo quelle a lungo termine. Con il rischio contagio alle porte, difficilmente resteranno esposti a lungo come nelle condizioni attuali: dobbiamo quindi vedere ogni potenziale segnale di ripresa legato all’annuncio di un accordo per il salvataggio dell’Irlanda come un’opportunità utile per ridurre posizioni di rischio. In altre parole, se anche l’accordo Ue-Irlanda porterà a una ripresa delle fortune europee, sospettiamo che questa avrà vita breve».
I mercati hanno già deciso che l’Europa, così com’è, non può più esistere.