Detto fatto, gli sforzi europei per cercare di raddrizzare il Titanic prima che si inclini troppo cominciano a mostrare tutti i loro limiti. Secondo Scott Mather, gestore del portfolio globale di Pimco, infatti, il piano approntato dall’Ue per il salvataggio della Grecia è «totalmente inadeguato e insufficiente», mentre il debito sovrano della Gran Bretagna «dovrà subire un downgrade entro un anno».

A cotè di queste rosee previsione, la dichiarazione che la sua azienda sta scaricando bonds sovrani sia statunitensi, che britannici che i pan-europei a 10 anni. «Servono veri e propri miracoli per mantenere in piedi l’economia dei paesi sviluppati nei prossimi sei mesi», ha concluso. Insomma, cattive notizie. Aggravate per la Gran Bretagna dal primo passo formale compiuto da Standard&Poor’s che ha posto il debito sovrano AAA sotto la lente del “negative watch”, ovvero l’anticamera di un possibile downgrade.

Questo nonostante il settore manifatturiero in Gran Bretagna sia cresciuto a livelli che non si conoscevano da 15 anni, facendo apprezzare la sterlina e sperare in una possibile ripartenza dell’economia. Per Pimco, non basta. Insomma, investitori scappate dai paesi industrializzati e lanciatevi su assets asiatici.

Anche perché la Germania dimostra giorno dopo giorno di voler fare da sola e dar vita, il prima possibile, a un’Europa a due velocità: il progetto di tassazione delle banche al fine di creare un fondo di emergenza da utilizzarsi in caso uno degli istituti di credito cadesse in difficoltà è certamente interessante, peccato che farà racimolare alle Finanze di Berlino sì e no 1,3 miliardi di euro l’anno, a fronte di titoli tossici nei bilanci delle banche tedesche pari a circa 350 miliardi di euro, 101 dei quali solo in pancia a Commerzbank.

Lo dice la Bafin, l’ente di controllo del mercato tedesco, non ilsussidiario.net. In compenso, però, va registrato un salto in avanti in marzo nell’export e nei nuovi ordini del settore manifatturiero in Germania: era dall’aprile del 2000 che non veniva registrato un simile dato del Markit purchasing managers index (Pmi). Siamo al sesto mese di fila di crescita, con un dato che raggiunge il 60,2 dal 57,2 del mese scorso, lievemente maggiore rispetto al dato atteso: 59,6.

«La Germania continua a guidare la ripresa nel manifatturiero della zona euro, con una produzione in espansione grazie alla più rapida crescita di nuove esportazioni negli ultimi 14 anni», ha detto Tim Moore, economista del Markit. Grazie, avendo in mano il timone e giocando con l’euro come fosse il vecchio marco tedesco, Berlino spinge sul turbo dell’export e mette la freccia: dove andranno a finire i cosiddetti Pigs non pare preoccupare troppo gli amici teutonici.

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Anche perché i cds sul rischio di default sul debito sovrano ballano al rialzo: la Grecia il 12 marzo, ovvero prima del “salvataggio” da parte dell’Ue e del Fmi era a 284.9 punti base, ora che è stata “salvata” è a 325 punti base. Sempre al 12 marzo i cds sovereign debt di Portogallo, Spagna e Italia erano rispettivamente a 116, 101.1 e 97.6 punti base, oggi sono rispettivamente a 143, 122 e 119. Insomma, i mercati osservano e ciò che vedono non piace loro. Ma ai loro appetiti sì, questo è sicuro.

 

Ma non solo i Pigs stanno per pagare il prezzo alla svolta autarchica tedesca in seno all’Ue. L’Irlanda, come già scritto ieri, si trova costretta a lanciarsi nel salvataggio del sistema bancario attraverso la bad bank ma anche in questo caso ci sono ben poche aspettative di riuscita: troppi i debiti, pochi i soldi, già pesante la tagliola fiscale e sociale del governo verso i cittadini. Ma, come scrivevamo ieri, i fronti di rischio si stanno espandendo e vedono la Cina terribilmente nel mirino degli investitori internazionali.

 

Per Colin MacLean, direttore generale della SVM Asset Management, infatti, la situazione delle infrastrutture nel paese del dragone «è terribilmente somigliante alla prima fase della crisi dei subprime americana, poiché la politica di prestito del governo è oramai insostenibile rispetto alla bolla immobiliare venutasi a creare e non sono da escludere crisi a livello bancario: quelle pratiche di lending indiscriminato devono suonare come campanelli d’allarme». Non è un caso, quindi, che il mondo intero si stia gettando sul nuovo campo di battaglia, quello energetico, fino a che la crescita cinese garantirà ancora richiesta di commodities e terrà in piedi un minimo di ripresa.

 

Quanto duri ancora non è detto, poiché molti grandi investitori durante il calo azionario di febbraio non hanno aumentato la loro esposizione azionaria proprio per i dubbi legati alla sostenibilità del rally di crescita di Pechino. Comunque sia, Barack Obama ha dato il via libera a trivellazioni off-shore in Alaska, Virginia, Florida e Alabama alla ricerca di petrolio e gas, una mossa che potrebbe creargli non pochi grattacapi con gli ambientalisti, ma che vede il Presidente degli Stati Uniti deciso a non recedere di un passo per ottenere il via libera dei Repubblicani a un nuovo patto sui cambiamenti climatici destinato a divenire Bill, ovvero legge.

 

La Gran Bretagna, a sua volta, stava trivellando al largo delle Isole Falklands, ma la quantità di petrolio trovata non era sufficiente per stare sul mercato: miliardi di sterline di investimenti andati in fumo. E non è un caso che, nonostante il sanguinoso attacco terroristico di qualche giorno fa, la Borsa di Mosca abbia registrato il maggior incremento tra le piazze principali a livello globale: l’indice RTS è cresciuto del 5,1% dal 26 marzo a ieri, a fronte di alcuni dati macro decisamente interessanti.

 

L’economia russa, infatti, crescerà del 5,5% quest’anno, stando alle stime della Banca Mondiale che ha rivisto al rialzo la sua precedente previsione del 3,2%. I guadagni delle compagnie quotate all’indice RTS hanno proiezioni di crescita del 65%, rispetto al 30% dell’indice MSCI che riunisce 22 paesi appartenenti ai cosiddetti mercati emergenti. Il continuo aumento del prezzo del petrolio, poi, non può che rappresentare un dato positivo per Mosca, soprattutto a fronte di un’assenza di giustificazioni legate ai fondamentali: c’è tensione attorno a carburanti e metalli e chi è forte sul fronte delle materie prime non può che beneficiarne.

 

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Meno felici, invece, rappresentanti europei dei settori dell’acciaio e automobilistico di fronte all’oligopolio venutosi a creare con l’accordo tra giganti minerari per la nuova prezzatura del minerale di ferro di cui abbiamo parlato ieri: difficile però che, a cose fatte e con le banche d’affari pronte a dare vita a un mercato di derivati sull’iron ore dal controvalore di 200 miliardi di dollari, la Commissione Europea possa fare qualcosa. Come già detto, il prezzo di questo accordo misconosciuto sarà in un futuro molto breve conosciuto da tutti noi mentre BHP Billiton e Rio Tinto ringraziano mettendo a segno rialzi a Londra rispettivamente del 2,1% e del 3%.

 

E mentre JPMorgan Chase invita gli investitori a vendere i cds sul rischio di default di Dubai poiché il piano di rifinanziamento messo in campo dal governo elimina questa ipotesi, i timori di contagio dalla Grecia fanno ballare al ribasso i credit default swaps di Ungheria e Romania dopo le drastiche decisioni delle rispettive banche centrali di abbassare i tassi di interessi, segnati come benchmark poiché i più alti dell’Unione Europea: la Magyar Nemzeti Bank di Budapest ha abbassato il tasso dei depositi a due settimane al 5,5% dal 5,75%, mentre la Banca Nationale a Romaniei di Bucarest ha abbassato la sua key rate per la terza volta quest’anno scendendo ancora al 6,5% dal precedente 7%.

 

Un segnale che queste due economie, entrambe salvate recentemente da iniezioni di capitale del Fmi, stanno cercando di cavalcare un minimo di ripresa, vedendo apprezzarsi le proprie divise e scendere nettamente i cds sovrani (quello ungherese è passato da 231 punti base del mese scorso a 180 del 26 marzio, mentre quello romeno da 255 a 199 nello stesso periodo) ma tradiscono anche timori per un contagio su assets locali della crisi fiscale greca, ben lungi dall’essere risolta come ha ricordato l’analisi di Pimco. I prossimi sei mesi saranno decisivi, non solo per l’Europa ma per l’intera economia mondiale. E quanto sta accadendo in Borsa, con l’indice S&P 500 ampiamente sopravvalutato, ci dice che qualcosa di poco piacevole a livello di ritracciamento potrebbe accadere non appena le misure di stimolo dei governi, Usa in testa, saranno terminate o avranno esaurito i loro effetti placebo.

 

Attualmente l’S&P500 viaggia su multiplo di circa 20, il che vuol dire che le società quotate di Wall Street non sono certamente a sconto, ma il problema risiede non tanto nel fatto che il price earning è così alto. La vera questione è che, dal 1991, questo paniere di titoli è stato al di sotto di 16 solo per sei mesi: alla fine del 2008 e nella prima parte del 2009. Quindi, i trend indicano che il price earning dovrebbe scendere, innescando un calo reso ancor più potenzialmente serio dalla parallela ricaduta entro l’estate – al massimo l’inizio dell’autunno – del mercato immobiliare. Allacciamo le cinture di sicurezza e speriamo in bene. Buona Pasqua a tutti.