La correzione sui mercati c’è stata, come previsto. E non è da considerarsi un qualcosa di meramente tecnico, stando alla sopravalutazione dell’indice Dow Jones che richiedeva un ritracciamento dei corsi di almeno il 10-15%.
È la crisi globale del debito, quello europeo e Usa in testa ma anche giapponese, ad aver affossato molti listini. E tutti i titoli del comparto bancario. Ieri poi i dati Eurostat hanno inferto una coltellata mortale alla Grecia e ai suoi conti, rivedendo al rialzo di un punto percentuale il dato del deficit di budget del 2009 al 13,6% rispetto al Pil: Atene è tecnicamente fallita e a qualcuno ora potrebbe venire la tentazione di non accanirsi terapeuticamente attivando il piano misto Ue-Fmi, stante la necessità di un default controllato ellenico gestito unicamente dal Fondo Monetario Internazionale.
Come anticipato, le banche greche hanno perso mediamente il 4,4% in Borsa ma anche quelle europee, tra cui Santander, Bbva, Deutsche Bank, Societe Generale e BNP Paribas hanno registrato cali tra il 2,5 e il 3,3%: l’esposizione verso le obbligazioni cominciano a pesare. E molto. In soldoni, nel 2009 il deficit/pil della Grecia non è stato del 12,9% ma del 13,6% ed Eurostat, oltretutto, ha espresso «una riserva anche su tale cifra a causa delle incertezze sul surplus dei fondi della sicurezza sociale, sulla classificazione di alcune entità pubbliche e sulla registrazione di operazioni swap». Ciò «può portare a una revisione fra lo 0,3% e lo 0,5% nel 2009». Revisione, indicano fonti Ue, che sarà probabilmente al rialzo.
Nemmeno a dirlo, l’euro è sceso sotto quota 1,34 dollarie a metà seduta di contrattazione i tassi sui bond ellenici a 10 anni, che si muovono nella direzione opposta al prezzo, hanno superato l’8,5%, stabilendo un nuovo massimo dall’ingresso della Grecia nell’area della moneta unica. Insomma, guai grossi in vista visto che lo spread è schizzato a 600 punti base, il massimo dal 1998 e il rendimento del titolo di Stato con scadenza biennale è salito oltre il 10%, esattamente al 10,9%.
E tanto più che quasi in contemporanea con il dato di Eurostat, Fitch ha abbassato il rating della Grecia dal livello di A2 al livello di A3: le soglie del baratro, in termini spicci e i mercati reagiranno male. Molto male. Le ultime rilevazioni sui cds per assicurarsi dal government debt default dei cosiddetti Pigs, inoltre, parlano chiaro: la Grecia è schizzata a 488 punti base da 367, la Spagna a 159 da 129, il Portogallo da 232 da 160 e l’Italia a 132 da 127. E cosa ci dicono queste cifre?
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Due cose, che un default di tenuta valutaria è possibile, l’Europa non reggerebbe il collasso di uno Stato membro restando così com’è strutturata ora, ovvero a una sola velocità. Secondo, l’Italia non è di fatto nel mirino degli speculatori internazionali visto che nonostante le mille magagne dei nostri debiti il dato è salito solo di 5 punti base dal 9 aprile, quasi un tendenziale rispetto agli altri partner Pigs.
I mercati ci amano? No, i partner europei ci temono. Ovvero, temono che un possibile effetto a catena innescato dalla crisi greca metta l’Italia nella condizione di poter chiedere una sorta di peg verso la moneta unica e si vada a riprendere la leva della svalutazione, chiave che ci farebbe diventare i killer giants mondiali dell’export. La Germania non lo può e non lo vuole accettare, l’Italia resti il parente povero ai margini ma non mettiamola di fronte a un altro 1992 – con le debite proporzioni e, in questo caso, l’assenza della lira da assaltare – altrimenti potrebbe usare la sua arma migliore per reagire. L’Italietta, per ora, può stare tranquilla.
Il problema è che non sono tranquilli al Fondo Monetario Internazionale, visto che nel loro ultimo World Economic Outlook i suoi analisti hanno parlato a chiare lettere di «rischio di contagio greco sull’intera eurozona». Non è solo ilsussidiario.net – nella fattispecie il sottoscritto – a vedere nero, quindi. «Nel breve termine, il rischio maggiore – scrivono gli analisti – è che, se non tranquillizzate in qualche modo, le preoccupazioni dei mercati rispetto alla solvibilità e alla liquidità sovrana della Grecia possa trasformarsi in una spirale e in una contagiosa crisi di debito sovrano».
Chissà se anche al Fmi amano i catastrofismi, come qualche mio detrattore mi fa notare. Sicuramente li amano alla Bundesbank, dove il grande capo Alex Weber – guarda caso l’uomo che la Germania vorrebbe imporre come governatore della Bce silurando Mario Draghi – ha detto a chiare lettere che «il sistema finanziario è ancora molto fragile e quindi facilmente soggetto a rischi di contagio dagli effetti molto significativi. Un possibile default greco sarebbe un colpo economico durissimo per altre nazioni nell’unione monetaria».
A Francoforte si mettono le mani avanti. Anche perché la data del possibile evento-dinamo della crisi si avvicina a grandi passi: entro il 19 maggio, infatti, la Grecia deve rifinanziare 68 miliardi di euro. E, stando al capo economista europeo di Unicredit, Marco Annunziata, «o si attiva subito il piano Ue-Fmi oppure il tempo sta davvero per scadere». Anche perché più passano i giorni, più il piano sembra un bluff o insufficiente – quale in effetti è – e più gli investitori si spaventano: e se il mercato ha paura, scappa.
A quel punto i cds greci andranno a livelli islandesi, gli spread sui bond alle stelle e il paese a gambe all’aria, insieme alla tenuta dell’euro verso il dollaro. Anche perché i detentori di bond sono allarmati da quanto riportato dai media greci, ovvero il fatto che alcuni dirigenti economici del governo greco stiano discutendo della ristrutturazione del debito con tecnici del Fmi, ponendo sul piatto una varia gamma di opzioni tra cui l’allungamento delle maturities dei bond stessi.
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Peccato che, stando agli esperti, una simile scelta farebbe di fatto scattare la clausola di default sui contratti cds: la perdita netta per i detentori di bond sarebbe tra il 30 e il 50%. Altra opzione è quella della cosiddetta formula “Brady bond” utilizzata in America Latina dal marzo del 1989 – prese il nome dall’allora segretario al Tesoro Usa, Nicholas Brady – che vedeva paesi di quell’area, soliti emettere bond denominati in dollari, convertire questi titoli in un più ampio menù di bonds per rifinanziare il debito che li aveva portati al default.
Strada percorribile per la crisi greca? Difficile dirlo, sicuramente non facile con il timore che vige oggi sui mercati, con i segnali di debolezza e disunione dimostrati dall’Ue nella gestione della crisi e soprattutto con quella data di maggio tremendamente vicina a fronte di un piano, insufficiente ma che potrebbe mettere una toppa salvavita al canotto greco – e all’intera area euro, sicuramente ai Pigs dove la “i” sta per Irlanda e non Italia – se attivato in tempi rapidi. Ovvero, giorni, non potendo parlare di ore.
Ce la farà l’Unione? Oppure in Germania, come si vocifera, stanno già pensando al post-default greco se come pare la Bundesbank starebbe lavorando a una sorta di exit strategy valutaria per evitare il contagio di quella che nel documento viene testualmente denominata «la Lehman Brothers dell’unione monetaria europea»? Chissà, i mercati ci diranno il loro parere. Noi ci teniamo il nostro. Guai seri in vista.